Scorrendo l'elenco dei Parroci (dall'archivio parrocchiale)Alcune memorie giunte fino a noi per iscritto o tramandate di generazione in generazione evidenziano in modo inequivocabile che taluni parroci del ‘600 e del ‘700 non debbano aver avuto vita facile nello svolgere con zelo il proprio ministero. Imperava un tempo anche qui fra noi un monopolio assoluto da parte di qualche signorotto che esercitava il proprio potere operando spesso senza scrupoli o comunque con un autoritarismo decisamente dispotico e nefasto. Da ciò derivava talvolta benevolenza verso gli ossequiosi e i sottomessi, velata tolleranza verso chi non potesse recare troppo fastidio, spietata avversione e repressione verso chiunque assumesse atteggiamenti di critica o di opposizione. Di parroci che dovessero essersi trovati in questa situazione ce ne dev’essere stato più d’uno. Al solo scopo di documentare questa affermazione forniremo qualche esempio significativo. Tre o quattro secoli fa, un certo parroco, dopo aver atteso per ore i marchesi o i conti d’allora per una processione che avrebbe dovuto svolgersi con la loro ostentata presenza, ebbe l’ardire di dar luogo a questa processione senza “quella” partecipazione. Ne subì una pubblica scenata e dovette sopportare in seguito angherie e persecuzioni che ne compromisero definitivamente l’operatività parrocchiale. I signorotti pretesero la presenza di un ambiguo cappellano presso la vecchia Cappella di Frazione Loreto. Questo cappellano ebbe il compito di avversare perentoriamente ogni attività di quel parroco che, alfine, ci rimise la vita. Morì di crepacuore. Altro fattore di stupefacente realtà riguarda l’appellativo attribuito al settore nord della Via S. Carlo. Via S. Carlo, per i nativi, è ancor oggi la Casarma. Il settore abitativo, prima che fosse trasformato in cortili per l’insediamento dei coloni di Casa Arese, era stata la sede di persone armate. Esse venivano ufficialmente accreditate come persone preposte alla salvaguardia dell’incolumità del paese:in realtà erano vere e proprie guardie del corpo al servizio del signorotto del tempo. Tali persone, paragonabili ai “Bravi” di manzoniana memoria, venivano fra l’altro finanziati con fondi comunali ma operavano in nefandezze d’ogni specie anche agli ordini dei loro padroni. In Via S. Carlo è tuttora visibile l’imboccatura di un fantomatico tunnel sotterraneo che avrebbe collegato la Casarma ad un casolare posto sull’altura fra l’Aurora e Lomagna. Là sarebbero state trasferite le vittime delle prevedibili imprese dei suddetti “Bravi”. Quel casolare che è stato abitato in seguito da varie famiglie è stato demolito solo attorno al 1970. A ricordarci la sua esatta ubicazione resta ancor vivo e vegeto un vecchio tiglio che domina l’altura. Era “Ul casin di stryi”, ossia la casa delle streghe. Vi avevano dunque abitato delle streghe? Certamente no. Occorre riferirci al fatto che lassù erano state arse vive un gruppo di donne accusate presso la santa Inquisizione d’aver operato sortilegi atti a provocare una terribile grandinata che aveva devastato l’intero territorio. In realtà esse dovevano essere state a conoscenza di qualche misfatto compiuto lassù. L’averle fatte sparire ad opera dell’Inquisizione poneva al riparo i mandanti e gli esecutori del misfatto da esse scoperto. Il parroco di quel tempo tentò di opporsi impavidamente all’infame rogo, impegnandosi ad approfondire l’accaduto e a sporgere doverosa denuncia alla Curia Milanese. Non ne ebbe la possibilità. Fu catturato e torturato. Non soccombette sotto la tortura, ma essendo anche cagionevole di salute, scomparve ben presto. Il “casin di stryi” fu teatro di un’ulteriore avventura legata forse alla banda di “Bravi” della Casarma. E ne vide protagonista un altro parroco della nostra comunità. Era giunto fra noi in età abbastanza giovanile. Ventotto anni. Era una vocazione tardiva e aveva avuto un passato da Cavaliere simile in parte alla vicenda di Fra Cristoforo dei Promessi Sposi. Durante la sua permanenza in Parrocchia era avvenuto un fatto particolare. Era di per sè normale che fra due giovani, Giuseppe lui e Lucia lei, fosse sorto un amore prossimo a convolare a nozze. La faccenda però non risultava gradita al signorotto d’allora. Tentò egli in un primo tempo di far rapire la fanciulla, ma il tentativo fallì. Naturalmente non s’arrese; e questa volta colpì nel segno. La fanciulla fu rapita e trasferita sotto la “custodia” dei “Bravi” al “Casin di stryi”. Giuseppe, disperato, si rivolse al parroco che ben sapeva essere esperto d’armi all’occorrenza e capace di coraggiosi interventi a favore dei poveri e degli oppressi. Il parroco, convocato un proprio antico compagno d’armi, concertò una spedizione per liberare la fanciulla. Saggiamente, reputò rischioso coinvolgere nell’impresa anche il giovane fidanzato della ragazza. Con uno stratagemma lo invitò in canonica. Gli somministrò dei farmaci che lo fecero assopire. Lo rinchiuse a chiave e, con il proprio ex compagno d’armi, si recò ad affrontare i carcerieri di Lucia. Ebbe la meglio in una battaglia che si rivelò accanita e oltremodo cruenta. Liberò la fanciulla; e sortì l’effetto di scoraggiare definitivamente le inique macchinazioni del signorotto. Così potè dedicarsi in assoluta tranquillità alle proprie incombenze pastorali ed educative acquisendo fra l’altro ulteriore stima ed apprezzamento presso i propri fedeli parrocchiani di quegli anni. Altri parroci devono essere stati più fortunati. Probabilmente con la mutata situazione dei notabili e dei signorotti, è intervenuta anche una serie di rapporti sereni fra le varie autorità sia nell’ambito religioso sia in quello laico. Evidentemente gli Arese, subentrati ai Lucini, adottarono altri comporta- menti nei confronti della Parrocchia e della comunità. Il cambiamento, del resto, procurò loro stima e deferenza, sentimenti che li accompagnarono fino ai giorni nostri. La gratitudine di ciascun osnaghese autoctono si fa tuttora sensibile, ad esempio, verso la contessa Luisa che sa ricambiare affettuosamente con beneficenza ed attenzioni senz’altro encomiabili. Basti del resto ricordare che il Conte Franco si è assunto l’impegno di transitare la gestione del nostro Comune da un regime a Commissario prefettizio a una situazione di incipiente democrazia nazionale. Si è fatto quindi garante dell’elezione democratica del Sindaco Gaetano Morell. Altri tempi dunque! Tempi più costruttivi ed obiettivi quelli di oggi, ma senz’altro tempi meno conflittuali quelli che incontrarono i nostri parroci negli ultimi decenni del ‘700. Nel 1769 la nostra comunità ebbe un parroco a dir poco straordinario. Al parroco Tentorio morto appunto nel 1769 successe don Redaelli che resse la Parrocchia fino al 1811. Quarantadue anni di proficue attività ed iniziative di cui ancor oggi avvertiamo i benefici effetti. Innanzitutto egli trovò il luogo di culto assolutamente fatiscente. Si legge negli scritti d’archivio che la chiesa non avesse neppure il soffitto e che fosse coperta dal solo tetto. Situazione insostenibile, dunque. Mezzi a disposizione assolutamente precari. Necessità impellente e coraggiosa di risolvere al più presto la questione e di fornire alla comunità una vera chiesa in grado di consentire non solo un culto dignitoso, ma anche la possibilità di una catechesi efficace ed educativa. Il nuovo parroco quindi intraprese soprattutto con gli Arese iniziative concrete per raggiungere l’obiettivo di realizzare nel più breve tempo possibile un edificio funzionale ed accogliente. In breve nacque un progetto. Si recepirono alcune donazioni. L’intera popolazione partecipò con sottoscrizioni e disponibilità manuale all’impegno comune per la realizzazione dell’opera. In definitiva, nell’anno 1770 partirono i lavori. Considerati i mezzi usufruibili per la costruzione dell’edificio, non fa meraviglia il constatare che l’impegno durò diversi anni. Ciò che conta è il fatto che Osnago ebbe quella chiesa che ci accoglie anche oggigiorno, anche se modificata ed arricchita nel tempo con opere d’arte, suppellettili, paramenti, organo e torre campanaria tali da garantirle funzionalità moderna e all’avanguardia. Da notizie d’archivio e recepite attraverso la recente pubblicazione più volte menzionata, è confortevole esser venuti a conoscenza che in virtù di quest’opera realizzata da Don Redaelli, Osnago, fin d’allora, conobbe viva attenzione ed ammirazione anche da parte delle autorità ecclesiastiche e delle parrocchie limitrofe. Alla morte del parroco Redaelli successe don Giuseppe Gallavresi che sommò i suoi quarantuno anni di permanenza in parrocchia ai quarantadue del suo predecessore. Un secolo, quasi! In calce all’elenco dei parroci si legge una notazione di particolare interesse: i parroci Redaelli e Gallavresi erano zii dello scrittore briviese Cesare Cantù, scrittore che trattò ampiamente nei suoi scritti le vicende brianzole, comprese le nostre. Quanto a don Redaelli la nota sottolinea il fatto che detto parroco ebbe molte volte a pranzo e ospite il giovinetto Alessandro Manzoni, allora studente a Merate nel collegio dei padri Somaschi. In qualche posto si trova pure scritto che durante questa ospitalità il parroco Redaelli, autore del Chronicon, avesse avuto occasione di mostrare al Manzoni, ad esempio, quanto riguardasse l’avventura di quel Giuseppe e di quel- la Lucia di cui abbiamo succintamente riferito poc’anzi. E chissà che questo episodio non abbia ispirato al prossimo autore de “I Promessi Sposi” qualche idea in proposito! Nel 1852, scomparso don Gallavresi, giunse tra noi il parroco Malvestiti. Visse a Osnago 26 anni e, nel 1879, fu sostituito da don Carlo Dassi. - scritto nell'anno 2006 - Autore del testo Alfredo Ripamonti |