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Mercoledì 03 Luglio 2024
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UN BEL MATTINO
Drammatico
di Mia Hansen-Løve
con Léa Seydoux, Pascal Greggory, Melvil Poupaud, Nicole Garcia
112 minuti - Francia 2022

Fin dagli esordi, il cinema di Mia Hansen-Løve si è posto l'obiettivo di cogliere e riprodurre il flusso dell'esistenza: le sue scosse, i momenti di svolta, ma soprattutto l'ordinarietà quotidiana, benché sempre modellata secondo le geometrie dei sentimenti. Sono tratti distintivi di cui torneremo a parlare anche nella nostra recensione di Un bel mattino, il nuovo film della quarantunenne regista francese, presentato alla Quinzaine des réalisateurs del Festival di Cannes 2022, un anno dopo l'ingresso in concorso del precedente Sull'isola di Bergman: ancora una volta, un'opera animata da spunti autobiografici (in questo caso, la malattia degenerativa del padre della Hansen-Løve, scomparso nel 2020) che contribuiscono a conferirle un ulteriore senso di autenticità e di urgenza emotiva. Un bel mattino è il titolo del libro che Georg Kienzler, professore di filosofia ormai in pensione e minato nella salute, non aveva mai terminato di scrivere; ma in chiave metaforica, è anche l'auspicio di sua figlia Sandra, una giovane donna che sembra aver ormai imparato a convivere con il dolore (veniamo a sapere infatti che il suo compagno è morto cinque anni prima). Sandra, che ha la grazia spontanea e il sorriso luminoso di Léa Seydoux, lavora come interprete ed è madre single della piccola Linn (Camille Leban Martins), con cui spesso va a passeggiare nei parchi di Parigi. Georg, invece, ha il volto segnato dagli anni del veterano Pascal Greggory, nel cui sguardo spento (il suo personaggio ha perso la vista) si riflette l'abisso in cui l'uomo sta scivolando giorno dopo giorno, sotto gli occhi impotenti dei familiari: l'altra figlia, Leïla (Fejria Deliba), e la sua ex-moglie Françoise (Nicole Garcia). Se quest'ultima, donna volitiva e con velleità da pasionaria, viene dipinta con un affetto appena venato da un bonario sarcasmo, è una diffusa empatia a trasparire nel corso delle quasi due ore di durata del film: Mia Hansen-Løve si pone puntualmente accanto alla protagonista, sposandone la prospettiva e cogliendone i palpiti e le lacrime, i momenti di ebrezza e quelli di malinconia. Il suo legame con il padre, che sta attraversando una progressiva perdita di contatto con la realtà, viene elaborato nel segno di una perdita imminente; e se il tema del lutto era già stato esplorato dalla Hansen-Løve nella sua opera seconda, Il padre dei miei figli, qui la "cognizione del dolore" di Sandra è sommessa, affidata a poche, incisive notazioni, a un fugace scoppio di commozione (l'incontro con una ex-studentessa di Georg) e alla tristezza per quell'appartamento da svuotare, la cui ampia libreria diventa la traccia materiale di una vita intera. L'altro percorso di Un bel mattino riguarda invece l'improvviso riavvicinamento fra Sandra e l'amico Clément (Melvil Poupaud) e lo sviluppo di un rapporto in cui si fa rapido spazio la dimensione seduttiva, fino all'irrompere di una passione tanto gioiosa quanto inesorabilmente incerta (Clément è sposato e padre di famiglia). E anche in questo caso, l'approccio di Mia Hansen-Løve diverge almeno in parte da una narrazione di tipo tradizionale per seguire piuttosto i ritmi ondivaghi di un cinéma vérité, privo di approdi certi o di conclusioni definitive, ma interessato più che altro a restituirci la realtà in maniera quanto più possibile autentica, secondo una poetica di matrice quasi rohmeriana: senza enfasi, ma con l'attenzione per le sfumature e i frammenti di bellezza.
Stefano Lo Verme (Movieplayer.it)
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