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Mercoledì 03 Luglio 2024
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LIVING
Drammatico
di Oliver Hermanus
con Bill Nighy, Aimee Lou Wood, Alex Sharp, Tom Burke
102 minuti - Gran Bretagna 2022

Il valore e l'universalità di un racconto possono essere misurati dal modo in cui esso riesce a risuonare in due culture tanto diverse, come quella britannica e quella giapponese, così come in epoche lontane ben sette decenni l'una dall'altra. Settant'anni precisi separano infatti Vivere, uno dei primissimi classici nella produzione di Akira Kurosawa, e il remake del regista sudafricano Oliver Hermanus. La premessa alla nostra recensione di Living parte ovviamente dall'importanza e dalla forza emotiva del film di Kurosawa, a cui Hermanus e il suo sceneggiatore, il grande scrittore anglo-giapponese Kazuo Ishiguro, si accostano con profondo rispetto e sostanziale fedeltà, al punto da conservarne il periodo di ambientazione: i primi anni Cinquanta (per la precisione il 1953, data d'incoronazione di Elisabetta II), quando splendori e miserie della Seconda Guerra Mondiale avevano ormai ceduto il posto al ripristino del modello di vita borghese. Nel suo Vivere del 1952, ispirato (molto vagamente) a La morte di Ivan Il'ic di Lev Tolstoj, Akira Kurosawa adoperava la parabola di Kanji Watanabe, grigio burocrate ormai prossimo alla pensione e afflitto da un male incurabile, per dipingere un affresco minimalista del Giappone contemporaneo, della sua difficile realtà sociale e dell'evoluzione dei rapporti familiari, accostandosi pertanto alle pellicole realizzate in quegli stessi anni dal connazionale Yasujiro Ozu. I medesimi temi, applicati alla Gran Bretagna, li ritroviamo in Living, in cui Kazuo Ishiguro riprende la struttura narrativa di Vivere con poche variazioni, 'asciugando' però la durata (cento minuti, contro i centoquaranta del film di Kurosawa) ma soprattutto lavorando in sottrazione rispetto alla figura del protagonista, il Mr. Williams di Bill Nighy: anch'egli un maturo funzionario pubblico, ma abituato ad esercitare un controllo pressoché totale sui propri stati d'animo, mascherati attraverso un inflessibile codice di imperturbabilità e di compostezza. Ma chi conosce lo scrittore premio Nobel non si stupirà di ritrovare in Mr. Williams dei tratti analoghi a quelli del personaggio al cuore del suo romanzo più celebre: il solerte maggiordomo Mr. Stevens di Quel che resta del giorno, a cui nel 1993 avrebbe prestato il volto Anthony Hopkins nello splendido adattamento cinematografico di James Ivory. Se il rigido codice professionale di Mr. Stevens costituiva un ostacolo alla sua felicità individuale, anche il Mr. Williams di Living incarna in tutto e per tutto un certo conformismo borghese volto a 'congelare' tanto i rapporti umani, quanto il proprio senso morale: l'ufficio comunale diretto da Williams, in cui si accumulano montagne di pratiche destinate al dimenticatoio, diventa così una cartina di tornasole su come l'etica del lavoro e l'impegno per il bene comune possano rimanere schiacciati dagli ingranaggi di una burocrazia kafkiana (altro elemento centrale già in Vivere di Kurosawa). A contrapporsi a questo sistema alienante, con l'impeto e le buone intenzioni della giovinezza, sono i due comprimari del film: Peter Wakeling (Alex Sharp), il nuovo impiegato dell'ufficio di Mr. Williams, ancora poco avvezzo al modus operandi e alla cinica freddezza degli altri funzionari (emblematica la scena del loro incontro alla stazione); e la sua collega Margaret Harris (Aimee Lou Wood), la cui pungente ironia le permette di denunciare con poche, impietose battute l'assurdità del microcosmo di cui fa parte. Se il confronto con Margaret, solare e "affamata di vita", contribuirà alla repentina svolta di Mr. Williams, costretto a decidere cosa fare dei pochi mesi che gli restano da vivere, Peter funge invece da ideale 'erede' del suo superiore: qualcuno a cui tramandare il giusto insegnamento affinché non ripeta gli stessi errori della generazione che l'ha preceduto. In tal modo, il dramma della storia viene stemperato da uno spirito umanista che, per Williams, si rivela un'estrema e fondamentale ragion d'essere: una sorta di percorso di redenzione che Oliver Hermanus, artefice di una regia di sobria limpidità, affida in gran parte all'interpretazione sapientemente trattenuta di un eccellente Bill Nighy. L'attore britannico, a un passo dalla sua prima nomination all'Oscar, disegna così un altro personaggio la cui sensibilità inquieta è espressa mediante piccoli gesti, quasi sussurrata: una tipologia di ruoli in cui Nighy si è cimentato spesso negli scorsi anni, da Marigold Hotel a Questione di tempo, da Pride a Le cose che non ti ho detto. In Living, l'evoluzione del suo Mr. Zombie è tracciata dunque con una finezza ammirevole, in linea con il registro di un racconto che non ha bisogno di affidarsi ai toni patetici per suscitare il trasporto e la commozione dello spettatore.
Stefano Lo Verme (Movieplayer.it)
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