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Mercoledì 03 Luglio 2024
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IL RITRATTO DEL DUCA
Commedia
di Roger Michell
con Jim Broadbent, Helen Mirren, Fionn Whitehead, Matthew Goode
96 minuti - Gran Bretagna 2020

È col sorriso sulle labbra che ci apprestiamo a scrivere la nostra recensione de Il ritratto del duca, il nuovo film di Roger Michell con protagonisti Helen Mirren e Jim Broadbent e presentato in anteprima nel fuori concorso del Festival di Venezia 2020. Senza ombra di dubbio, e senza alcun intento denigratorio, l'aggettivo che ci viene in mente per descrivere il film è "delizioso". Tratto da un'incredibile storia vera, questo film puramente british avrebbe tutte le carte in regola per essere un dramma sull'elaborazione del lutto personale e su una lotta sociale degna di Ken Loach, ma ha abbastanza cuore e intelligenza per trasformarsi in una commedia dove l'umorismo pungente e mai volgare fa da padrone. È un film che amiamo definire delizioso non solo per come sono caratterizzati i protagonisti, capaci di entrare nel nostro cuore fin dalla primissima inquadratura, e non è delizioso solo per quella semplicità di fondo che lo rende adatto al pubblico più vasto possibile. Lo è perché, nel raccontare una storia che avrebbe tutte le carte in regola per diventare piena di retorica e troppo carica, preferisce battere il sentiero meno prevedibile e più audace: quello della semplice e pura risata, capace di sdrammatizzare ogni momento. Anni Sessanta. Kempton Bunton (Jim Broadbent) ha sessant'anni, vive in una modesta casetta con la moglie ed è un drammaturgo. O almeno, questo è quello che crede di essere. Perché la scrittura, per Bunton, è un modo per elaborare un lutto famigliare, la morte della figlia a solo diciotto anni, mai davvero affrontato all'interno delle mura domestiche. Girano pochi soldi in casa Bunton, vuoi per il carattere ardente dell'uomo di casa, incapace di tacere di fronte alle ingiustizie, vuoi per la sua continua propensione a finire, per brevi intervalli di tempo, in prigione. Non impara mai, Kempton Bunton, nonostante gli ultimatum e la poca pazienza della moglie, che lavora come domestica presso la casa di un assessore. Una notte, stanco delle ingiustizie del governo e delle tasse che i veterani ed i pensionati sono costretti a pagare (non per ultima quella sul canone televisivo), decide di rubare un famoso dipinto di Goya, il ritratto del Duca di Wellington, dalla National Gallery (ad oggi l'unico furto mai avvenuto nel celebre museo) e chiederne un riscatto da destinare, come fosse un novello Robin Hood, agli investimenti statali per la popolazione più anziana. Il tutto nascondendolo alla moglie. Non vogliamo rivelarvi nulla di più, anche se, basandosi su una storia vera, basta una veloce ricerca su internet per venire a conoscenza del proseguimento della vicenda. Va detto che se il film riesce a dimostrarsi un piccolo gioiellino lo è principalmente per i due attori protagonisti. Jim Broadbent è un vero e proprio mattatore, capace di dare vita a un personaggio irrefrenabile che è impossibile da rinchiudere (coerentemente con la sua continua entrata e uscita di prigione). Broadbent fa proprio il ritmo del film, che è molto alto e accompagnato da musica jazz e swing, e rischia di mettere in ombra l'altro talento di The Duke. Helen Mirren sembra essere costantemente sugli scudi, quasi oscurata da un protagonista veramente ingombrante e catalizzatore di attenzione, ma, più si procede con la visione del film, più il suo personaggio mostra la sua vera natura: quella di una donna che maschera la propria infelicità per la perdita della figlia attraverso una durezza che sembra impossibile da scalfire. In realtà, il lavoro di sottrazione della Mirren compendia perfettamente l'espansività di Broadbent costruendo quindi una perfetta medaglia, una coppia che sembra ostacolarsi a vicenda e che in realtà dimostra tutto l'amore, l'unione e la fedeltà del loro matrimonio. Sono due le linee narrative principali del film. La storia del furto del quadro che funziona da satira sociale con l'obiettivo rivolto alla comunità inglese ben si lega con la dimensione più intima e personale relativa alla famiglia Bunton e a come tentano di elaborare il lutto della figlia morta. Kempton nasconde dei forti sensi di colpa che sfoga attraverso le sue opere teatrali (forse fin troppo personali e sempre rifiutate dai network a cui le invia) e al bisogno di aiutare la comunità. Sembra quasi che, nel tentativo di diventare una specie di Robin Hood, voglia espiare i propri peccati così radicati dentro di lui da renderlo recidivo nel trovare un lavoro, far valere i diritti propri e degli altri, farsi licenziare, andare in prigione, uscirne e ricominciare da capo il circolo vizioso. Ma se tutti questi argomenti sembrano troppo drammatici vi rassicuriamo: durante il film si ride veramente tanto e i momenti più intimi e seri vengono distillati sapientemente senza mai risultare troppo retorici e, allo stesso tempo, mai superficiali. È proprio in una delle scene finali che questo Il ritratto del duca travalica i confini della famiglia Bunton e del suo strano capofamiglia e si rivolge all'intera collettività.
Matteo Maino (Movieplayer.it)
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