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Mercoledì 03 Luglio 2024
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BELFAST
Drammatico
di Kenneth Branagh
con Caitriona Balfe, Judi Dench, Jamie Dornan, Ciarán Hinds
98 minuti - Gran Bretagna 2021

Che cos'è il cinema? Semplice spettacolo per appagare gli occhi, forse? Intrattenimento per svagarsi un paio d'ore? O anche una finestra aperta verso storie in cui ritrovare un po' noi stessi? Oppure il cinema è un'artistica macchina del tempo che permette di vincere il regolare e inarrestabile ticchettio delle lancette dell'orologio? Se abbiamo scelto questa domanda per iniziare la nostra recensione di Belfast è perché, in qualche modo, il film di Kenneth Branagh contiene tutte le risposte, dando vita a un'opera personale e intima, immersa di pura meraviglia. Di conseguenza, Belfast è semplicemente una città dell'Irlanda del Nord, ma è anche un viaggio nella memoria. È uno sguardo di bambino verso il futuro e un'occhiata di rimpianto di un adulto. Una calda casa domestica e una strada cittadina in rivolta. Basta scavalcare un muro per ritrovarsi in un'opera-mondo che dona un'ennesima risposta alla nostra domanda: il cinema è vita. Belfast, 1969. È un periodo turbolento quello che la città nordirlandese sta affrontando. Sono gli anni di quelli che vengono chiamati The Troubles, ovvero il conflitto nordirlandese tra cattolici e protestanti. In questo clima cittadino, la vita del giovanissimo Buddy (alter ego del regista Kenneth Branagh), nove anni, sta per cambiare per sempre. Sommersi dai debiti e spaventati dal clima di tensione sempre più soffocante, i genitori di Buddy stanno pensando di lasciare la città per trasferirsi in Inghilterra, dove il padre lavora. Per Buddy significherebbe perdere tutto il suo mondo: la compagna di classe Catherine, di cui è segretamente innamorato, e soprattutto i suoi nonni, con cui ha un rapporto speciale e che rappresentano, ancor più della madre - costretta per la maggior parte del tempo a badare alla famiglia da sola - e del padre, dei punti di riferimento. Riassumere un film come Belfast significherebbe, però, banalizzare il racconto del film, che potrebbe essere descritto come una splendida storia d'amore. L'amore di Buddy per quel mondo in cui è inserito, per la famiglia e la compagna di classe e anche per il cinema e il teatro, unici momenti in cui il film si permette, all'interno della narrazione, uno schizzo di colore. Come in tutte le storie d'amore, ciò che appare in maniera fisica e tangibile perde d'importanza rispetto alla dimensione interiore, legata ai sentimenti. Quasi fosse un sogno ad occhi aperti, Belfast richiede allo spettatore di abbracciare il viale dei ricordi, il flusso di coscienza che racchiude anche momenti indipendenti, chiusi in sé stessi, che permettono di costruire un mosaico a partire dalle singole tessere. Divertente, a tratti molto, e allo stesso tempo commovente, il film di Kenneth Branagh è un'opera personale e sentita, scritta con il cuore e capace di parlare a un pubblico eterogeneo con grande intensità. Da tempo non si vedeva dietro la macchina da presa un Kenneth Branagh così misurato e così preciso nello scegliere le inquadrature perfette. Belfast colpisce incredibilmente dal punto di vista visivo. Il bianco e nero del direttore della fotografia Haris Zambarloukos risplende grazie ad alcune inquadrature che ricordano le migliori prove di un maestro come Orson Welles. Con la presenza di un oggetto o di una figura umana in primo piano che funge da sipario, si nota l'utilizzo della profondità di campo per donare allo stesso tempo realismo e simbolismo a ciò che lo spettatore sta guardando. Scelta azzeccata perché Belfast è raccontato attraverso un mondo a misura di bambino, ovvero il punto di vista di Buddy, spesso nascosto mentre spia o ascolta di soppiatto il mondo degli adulti. I due mondi a volte si intersecano e si uniscono, altre volte sono talmente separati (anche visivamente) da non poter comunicare tra loro. Sta allo spettatore riempire il non detto e qualche elemento narrativo lasciato sottaciuto, contribuendo alla creazione di un mondo vero e non adattato alle leggi della narrativa. Si tratta di una scelta consapevole e largamente raggiunta, anche se a volte il tono potrebbe risultare un po' troppo semplicistico e farsesco, rompendo quella perfetta magia immersiva su cui il film si fa forza. Sono solo piccoli momenti, di brevissima durata, che non inficiano il risultato. D'altronde, si sa, i ricordi possono anche non corrispondere alla verità e all'eccessivo realismo. Branagh è abituato a lavorare con un cast di nomi noti che sono molto spesso sinonimo di talento (basti ricordare Assassinio sull'Orient Express), anche se non sempre il regista è riuscito a trovare la chiave perfetta per elevarli. Non è il caso di Belfast, dove l'intero quintetto di protagonisti dona al film un valore aggiunto che lascia esterrefatti. Al suo esordio davanti la macchina da presa Jude Hill dimostra già una maturità nella recitazione incredibile: perfettamente inserito nel contesto, il suo Buddy è un personaggio impossibile da odiare, capace di rappresentare non solo il singolo, ma una collettività di bambini del passato. Jamie Dornan e Caitriona Balfe interpretano i genitori di Buddy con il primo un po' più sacrificato rispetto alla seconda. Se, infatti, la Balfe riesce a ritagliarsi un personaggio tridimensionale con tanto di momenti personali e un paio di monologhi da pelle d'oca, Dornan è un po' più sacrificato e funziona di più in coppia che in solitaria. Ciarán Hinds è il nonno di Buddy, una figura importantissima per il giovane protagonista, secondo solo alla nonna. Non che ci fossero dubbi a riguardo, ma colpisce una volta di più assistere a un'interpretazione così sontuosa da parte di Judi Dench, che sicuramente ha le carte in regola per poter arrivare nella cinquina delle migliori attrici non protagoniste dei prossimi Oscar (e crediamo che non sarà l'unica nomination per questo film che ha già vinto il Premio del Pubblico del Festival di Toronto). Arrivati a questo punto dovrebbe essere chiaro: Kenneth Branagh, in maniera davvero straordinaria, ha risposto alla nostra complicata domanda iniziale. Cinema è assistere a un film come Belfast. Il piacere di un racconto universale per lo spettatore che coincide con un poema d'amore a cuore aperto da parte del regista e sceneggiatore. È la bellezza delle immagini e la possibilità di respirare un'atmosfera distante nel tempo. Soprattutto, è la forza dello sguardo. Quello dello stesso Branagh che rimette in scena, in maniera sincera, un periodo formativo della sua vita; quello dello spettatore verso i personaggi del film, per poterli accogliere e condividerne emozioni e storia; quello degli stessi personaggi, che si dividono in tre generazioni diverse della stessa famiglia, ognuno con il proprio modo di osservare: la meraviglia del figlio, il realismo del genitore, il rimpianto dei nonni. Non è un caso che il film si chiuda proprio con un'attenzione particolare sugli occhi come specchio dell'anima e dell'espressione interiore, oltre che sulla forza delle immagini e sul modo in cui si osservano i personaggi per trasportare il racconto della memoria. Lasciando la sala cinematografica, guardando indietro per un'ultima volta lo schermo dove scorrono i titoli di coda, ci si rende conto di uscire e tornare a casa con un pezzo della città nordirlandese, un frammento emotivo, un'empatia e una memoria fissata nella celluloide. Ecco, il cinema è questo.
Matteo Maino (Movieplayer.it)
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