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STORIA DI UN MATRIMONIO
Drammatico
di Noah Baumbach
con Scarlett Johansson, Adam Driver, Laura Dern, Merritt Wever, Azhy Robertson
135 minuti - USA 2019

"Somebody hold me too close/ Somebody hurt me too deep/ Somebody sit in my chair and ruin my sleep/ And make me aware of being alive" I versi che aprono la nostra recensione di Storia di un matrimonio sono tratti da Being Alive, la canzone più famosa composta da Stephen Sondheim per il musical Company. Il brano in questione, eseguito da Adam Driver all'interno del film di Noah Baumbach, esprime in maniera emblematica la sensazione ambivalente di avere qualcuno con cui condividere l'eccitazione e la paura di "essere vivi": la sensazione che, nonostante tutto, lega fra loro Charlie e Nicole, laddove l'amore che provano l'uno per l'altra sembra essere direttamente proporzionale alla sofferenza che saranno capaci di infliggersi. Non è la prima volta che Noah Baumbach, newyorkese di Brooklyn, considerato da tempo il principale "erede" di Woody Allen, si occupa di raccontare una separazione: la rottura di un nucleo familiare era già al cuore di uno dei suoi film più celebrati, Il calamaro e la balena del 2005. Con Storia di un matrimonio, presentato in concorso alla Mostra di Venezia 2019 e prodotto da Netflix (come già il precedente The Meyerowitz Stories), Baumbach torna dunque ad illustrare le delicate dinamiche della fine di un matrimonio, adottando però, in questo caso, il doppio punto di vista dei due coniugi impegnati a ricostruirsi un'esistenza che non preveda più l'uso del pronome "noi". Una prospettiva duplice, e addirittura geometrica nella sua complementarità, che Noah Baumbach sottolinea fin dall'incipit: quando, nella cornice di una New York la cui bellezza è paragonabile soltanto alla New York di Woody Allen, incontriamo per la prima volta Charlie e Nicole, nelle parole affettuose scritte da ognuno dei due per il proprio partner. Ma il prologo idilliaco è già un ricordo, o piuttosto un rimpianto: la loro relazione è giunta alla fine, e mentre Charlie, regista d'avanguardia, si prepara a portare a Broadway un originale allestimento dell'Elettra di Sofocle, Nicole è in partenza per Los Angeles per girare il pilot di una serie TV. Fra di loro, oltre a un amore ancora non del tutto sopito, c'è anche un bambino, Henry (Azhy Robertson), al contempo destinatario delle premure di entrambi i genitori e oggetto di uno scontro sempre più inesorabile. Perché Storia di un matrimonio è in primo luogo la storia di un divorzio, un divorzio via via più problematico e doloroso. E l'ironia, ingrediente basilare del cinema di Noah Baumbach, può mitigare solo in parte il realismo e la durezza con cui il film mette in scena le tensioni crescenti fra Charlie e Nicole, il loro senso di colpa e di inadeguatezza, e poi la rabbia - feroce, devastante - che ribolle dietro le cortesie e i sorrisi di circostanza. La scrittura di Baumbach possiede un'eccezionale vena brillante, talvolta con sfumature quasi da screwball comedy (basti rivedere il meraviglioso Mistress America), e pure in questo caso viene messa a frutto con risultati formidabili; ma subito dietro la risata ecco arrivare il tuffo al cuore, la consapevolezza amarissima di due giovani (ex?) innamorati di fronte alle macerie del loro rapporto. Se Charlie e Nicole, che hanno i volti di Adam Driver e Scarlett Johansson, sono dipinti con il maggior naturalismo possibile, è a un cast di ottimi comprimari che Baumbach affida i momenti più divertenti di un film tanto drammatico quanto, in più occasioni, esilarante: dal veterano del palcoscenico incarnato dall'irresistibile Wallace Shawn all'eccentrica Sandra di Julie Hagerty, madre di Nicole ma con uno smaccato debole per Charlie; dall'impacciata Cassie di Merritt Wever, da standing ovation in una scena che è un capolavoro di comicità, all'avvocato divorzista Nora, impersonata da Laura Dern con un amalgama fra toni melliflui e spregiudicato cinismo, e a cui è riservato un indimenticabile monologo sul ruolo archetipico della Vergine Maria nell'immaginario occidentale. Ma Nora, così come la sua controparte maschile (Ray Liotta), è anche la sintesi di quello spietato meccanismo giudiziario che irrompe nelle vite di Charlie e Nicole, logorando quel che resta del loro sentimento e delle loro finanze. E se l'ottuagenario Alan Alda, con i suoi modi pacati e la saggezza serafica dispensata per aneddoti, può offrire un appiglio di umanità ed empatia, a prendere il sopravvento sarà la brutalità burocratica della separazione, con le sue grottesche derive (la straniante serata trascorsa da Charlie ed Henry sotto lo sguardo di un'impassibile 'osservatrice'). E in filigrana, come ulteriore riverbero del conflitto fra Charlie e Nicole, si può cogliere perfino una dicotomia di carattere geografico: quella fra New York, capitale del teatro e della cultura, e Los Angeles, la metropoli dagli "ampi spazi" entro cui sentirsi ancora più vuoti e più soli. La compresenza di registri tanto differenti, orchestrata dalla sceneggiatura di Noah Baumbach con impeccabile fluidità e precisione diabolica, funziona però anche e soprattutto grazie a una splendida coppia di interpreti: Scarlett Johansson, che sfodera un ritratto in cui si combinano dolcezza e malessere, non è mai stata così brava, ma Adam Driver è semplicemente mostruoso. Il suo Charlie è un adorabile concentrato di carisma e di insicurezze, di fragilità e di furore, restituiti dall'attore californiano con una spontaneità impressionante e una sincerità che riesce davvero a togliere il fiato.
Stefano Lo Verme (Movieplayer.it)
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