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Mercoledì 03 Luglio 2024
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IL VIZIO DELLA SPERANZA
Drammatico
di Edoardo De Angelis
con Pina Turco, Massimiliano Rossi, Marina Confalone, Cristina Donadio, Odette Gomis
90 minuti - Italia 2018

Disturbante e pieno di fascino fin dalla prima inquadratura l'ultimo film di Edoardo De Angelis, che ambienta la sua storia in un limbo sferzato dal vento e in cui l'inverno sembra aver messo radici. Tra cumuli di immondizia e baracche sul porto, Castel Volturno è lo spazio, realistico al punto da diventare fantastico, in cui si muovono Maria e le donne straniere che lei traghetta lungo il fiume per uno scopo inizialmente poco chiaro. Il vizio della speranza comincia come un mistero, con quella bambina vestita a festa e salvata dal mare con una rete da pesca, e prosegue con lo stesso incedere misterioso di una parabola, religiosa ed estremamente terrigna insieme, che vede nella nascita il rigenerarsi di tutto, e la redenzione finale. Passo svelto e mascolino, espressione severa, Maria (Pina Turco) è una giovane donna che sembra invecchiata prematuramente nel suo disincanto e che non aspira a una quotidianità diversa da quella che conduce; accetta di lavorare per conto di un'anziana ingioiellata che le impartisce ordini con l'atteggiamento di una zia amorevole ma severa che si preoccupa per la nipote. Maria, a sua volta, sembra adottare la stessa fermezza comprensiva nei confronti delle donne incinte che le obbediscono, con un misto di fiducia e timore. In realtà, in questo microcosmo campano freddo e dall'atmosfera bluastra, non c'è spazio per l'amore né per la speranza. Maria, come un moderno Caronte addolcito nell'aspetto e nell'animo, deve traghettare queste donne lungo il fiume fino a una squallida abitazione in cui un'altra donna, calva e dall'espressione impietosa, le farà partorire, affinché il loro figlio venga consegnato come un pacco pagato in anticipo a una coppia di aspiranti genitori. Questo tremendo baratto viene ammantato d'amore dalle parole ipocrite della vecchia pappona, che per sopravvivere al proprio squallore si fa iniettare eroina da Maria: un'abitudine vissuta come la banale assunzione di una medicina per i reumatismi. In questo mondo, che per certi versi sembra quasi post-apocalittico, ogni bruttura è data per scontata: dalla droga alla depressione, dalla spazzatura ammassata alla vendita di neonati. E il corpo della donna, che nel precedente film di Edoardo De Angelis, Indivisibili, diventava fenomeno da baraccone e veniva sfruttato per il voyeurismo altrui, ne Il vizio della speranza è ancora oggetto di lucro, reso frutto da spremere per la felicità di altri. Maria non mette in discussione lo svolgersi delle sue giornate, finché non interviene una novità che instilla la speranza in questo scenario di desolazione e asservimento reciproco. Scopre di essere incinta, lei che pensava di non poter avere bambini e li vedeva più che altro come oggetto di scambio. Una giovane nigeriana, Fatima, si era nascosta da lei per tenere il figlio con sé; forse anche Maria può scappare da tutto. Ma, per farlo, sembra quasi aspirare a crearsi una nuova famiglia raffazzonata. È così che dapprima chiede ospitalità a una prostituta nera, e poi stringe amicizia con sua figlia, Virgin: le regala il suo maglione e le mostra come, con il cappuccio alzato, non la disturberà più nessuno. Ed è con lo stesso slancio a formarsi un nuovo nucleo familiare che, insieme a Virgin, Maria cerca solidarietà in Carlo Pengue (Massimiliano Rossi), un giostraio emarginato da tutti in seguito a un evento di molti anni prima, che aveva coinvolto la stessa Maria segnando il suo punto di non ritorno, e che li aveva uniti secondo un disegno che entrambi ignoravano. Carlo è l'unico personaggio maschile in questo mondo evanescente di esclusi, che hanno scelto la solitudine o la catatonia per rimanere a galla, ed è l'unico che secondo Maria mostra un po' di umanità. Maria, Carlo e la piccola Virgin sembrano rappresentare un nucleo quasi primitivo di famiglia, da cui l'umanità potrà ripartire, purificata da tutte le sue colpe, liberata da tutta la sua tristezza. Foto in bianco e nero di vent'anni prima, che mostrano bambini terrorizzati sulla giostra, adesso in disuso, in cui Carlo lavorava: questi sono "i ricordi della lavatrice", attimi di vita che Carlo non si è sentito di gettar via, e che anzi ha custodito come un tesoro, perché in un presente di desolazione i ricordi sembrano l'unico patrimonio che si ha a disposizione. Anche Carlo, con l'occasione di aiutare Maria nella fuga, sembra aver ritrovato la speranza in un presente diverso. "Ti è venuta questa stronzata della speranza", dice a Maria la vecchia mezzana sprezzante, interpretata da un'impeccabile Marina Confalone. "State tutti fissati con la libertà; è così bella la schiavitù, con i premi e con le regole". E in effetti pure questo personaggio odioso, che schiavizza Maria e le altre donne senza scomporsi mai, è schiavo a sua volta delle proprie dipendenze, della propria routine criminale che, vissuta con tanta imperturbabilità, non sembra neanche così fuori dall'ordinario. E sicuramente anche la madre di Maria (Cristina Donadio), affetta da una sorta di abulia esistenziale, è schiava della stessa condizione vischiosa che imbriglia tutti, l'assenza di speranza, che non fa riconoscere più il bene dal male, e che rende carnefici perfino le vittime. È la gravidanza di Maria, significativamente, a rappresentare un faro in questa storia torbida e dichiaratamente religiosa, con personaggi che si chiamano Fatima, Maria, Virgin, e che sembrano quasi degli archetipi. Anche l'ambientazione mescola con sapienza cronaca attuale e atmosfere ancestrali, con quei cieli metallici che appaiono reali e irreali, e la meravigliosa colonna sonora di Enzo Avitabile che non si ripete mai, ma segue i personaggi nel loro dolore come un cantore di tempi ormai persi nella memoria.
Chiara Apicella (Movieplayer.it)
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