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Mercoledì 03 Luglio 2024
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HAPPY END
Drammatico
di Michael Haneke
con Isabelle Huppert, Mathieu Kassovitz, Jean-Louis Trintignant, Fantine Harduin, Dominique Besnehard
110 minuti - Francia 2017

Michael Haneke torna a scrivere e a dirigere un lungometraggio a cinque anni dal capolavoro Amour, ed è più in forma che mai, spietato indagatore degli umani paradossi e lucido osservatore di una realtà che muta, esasperandoli. A settantacinque anni, Haneke firma con Happy End un film in cui ritrova il gusto della narrazione stratificata di Code Unknown e l'ossessione per il voyeurismo e la tecnologia della videosorveglianza di Niente da nascondere, ma riferimenti scoperti sono anche rivolti ad Amour attraverso il personaggio di Jean-Louis Trintignant, che non è esattamente lo stesso Georges, ma siamo in quei paraggi. Lo scenario, stavolta, è Calais nel pieno della crisi dei rifugiati, che invadono le strade della città portuale in attesa di una possibilità di attraversare l'Eurotunnel; dramma autentico e urgente che resta cospicuamente sullo sfondo mentre in una sontuosa magione borghese la ricca famiglia dei Laurent insegue vuote ambizioni, racconta squallide menzogne, cova rabbia e frustrazione e corteggia fantasie morbose. C'è una bambina al cuore di Happy End, Eve, ma non la chiameremmo innocente più di quanto non avremmo fatto con i giovanissimi protagonisti de Il nastro bianco. L'incipit geniale del film introduce il suo punto di vista senza presentare il personaggio: ciò che vediamo è solo lo schermo dello smartphone mentre qualcuno filma sua madre, impegnata nei preparativi per la notte, e informa noi, i suoi ignari "follower", di quanto essa sia odiosa, al punto che il padre le ha piantate in asso anni prima lasciando la figlia sola a subire le angherie dell'instabile genitrice. Poi la misteriosa videocaster procede con un agghiacciante esperimento che non guadagnerà a Michael Haneke la stima delle associazioni animaliste. Solo più tardi scopriamo chi c'è dall'altra parte dello smartphone, quando Eve viene accolta dal padre, uno degli influenti Laurent di Calais, i quali, oltre a dare un gelido benvenuto alla ragazzina rimasta sola dopo l'ospedalizzazione della madre, devono affrontare una crisi potenzialmente catastrofica a causa di un incidente avvenuto in uno dei loro cantieri che ha lasciato un operaio (immigrato) in fin di vita. Una struttura stratificata e complessa, dunque, quella di Happy End, per un autore che non si è mai sognato di prendere per mano lo spettatore per rendergli il compito più facile. Per essere un cinico e un misantropo conclamato, Haneke dimostra una grande fiducia nell'attenzione e nell'intelligenza dei fruitori della sua opera, chiamati a mettere insieme i pezzi del puzzle, a ricostruire gli eventi (per lo più terribili) intercorsi fuori campo in occasione dei salti temporali che caratterizzano la sceneggiatura. Il risultato è elettrizzante e stimolante per chi si lasci affascinare da questo narratore tagliente e riservato, che ci lascia al buio negli snodi fondamentali per fermarsi a lungo sullo schermo di un computer, a immaginare l'identità di duepatetici amanti virtuali. Schermi e smartphone inclusi, la composizione visiva di precisione chirurgica continua ad essere uno dei punti di forza del cineasta austriaco, che qui torna a lavorare in tandem con il direttore della fotografia Christian Berger con esiti portentosi: ritroviamo così le riprese a camera fissa de Il nastro bianco, attraverso le quali si muovono i personaggi, spesso osservati a distanza, fisica ed emotiva, come da cifra stilistica hanekiana. Gli interpreti sono all'altezza dell'eccellenza complessiva, anche se Isabelle Huppert e Mathieu Kassovitz non hanno per le mani il ruolo più sostanzioso e pregnante della carriera (ma Isabelle viene fuori alla distanza). A colpire al cuore sono, manco a dirlo, il solito gigantesco Trintignant e la promettente Fantine Harduin che, nei panni di nonno Georges e della piccola e inquietante Eve, nella generale incapacità di registrare la sofferenza altrui stringono un'improbabile intesa, che spiana la strada per un finale in cui il dramma sfiora la farsa e Michael Haneke ci lascia, ancora una volta, sbalorditi.
Alessia Starace (Movieplayer.it)
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