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VITTORIA E ABDUL
Biografico
di Stephen Frears
con Judi Dench, Ali Fazal, Eddie Izzard, Adeel Akhtar, Tim Pigott-Smith
112 minuti - USA, Gran Bretagna 2017

Nel 1997 l'allora sessantaduenne Judi Dench, già stimata primadonna del palcoscenico ma relegata perlopiù a ruoli secondari al cinema, conquistava l'attenzione di critica e pubblico con uno dei suoi primissimi film da protagonista: La mia Regina (in originale Mrs. Brown), pregevole dramma storico diretto da John Madden e incentrato sulla relazione fra la Regina Vittoria e uno dei suoi assistenti personali, lo scozzese John Brown. L'interpretazione della Dench le avrebbe fatto vincere il Golden Globe e il BAFTA Award come miglior attrice e le sarebbe valsa la sua prima candidatura all'Oscar; Dame Judi avrebbe poi conquistato l'Oscar un anno più tardi interpretando un'altra celebre sovrana, Elisabetta I, in un'altra pellicola per la regia di Madden, Shakespeare in Love. Esattamente a vent'anni di distanza da un ruolo così importante per la propria carriera, la Dench è tornata a indossare i regali abiti di Vittoria in un nuovo film basato su un rapporto 'particolare' e alquanto controverso nell'esistenza della sovrana: Vittoria e Abdul, che riunisce la sopraffina attrice dello Yorkshire con uno dei suoi registi favoriti, Stephen Frears, dopo le loro fortunatissime collaborazioni in Lady Henderson presenta e Philomena. Basata su un libro omonimo di Shrabani Basu e presentata fuori concorso al Festival di Venezia 2017, l'opera di Frears fa riferimento a un episodio poco conosciuto nella biografia di Vittoria: il suo legame con Abdul Karim, giovane attendente indiano della sovrana, a partire dal loro primo incontro nel 1887. Piacente, loquace e animato da una sorta di venerazione nei confronti di Sua Maestà, Abdul ha il volto dell'attore trentenne Ali Fazal, comprimario della Dench in un film costruito come un lungo 'duetto' fra i due interpreti: da un lato Frears inquadra il carattere scontroso e insofferente dell'anziana Regina, dall'altro lascia trapelare il candore e la spontaneità di questo ragazzo indiano che, senza volerlo, incrina i rigorosissimi cerimoniali di corte attirandosi l'attenzione di Vittoria, oltre alla sua immediata simpatia. Proprio tali cerimoniali, con il loro formalismo esasperato e la loro inviolabile etichetta, sono messi in scena da Frears con l'immancabile taglio sarcastico, a partire da una significativa scena iniziale: la sequenza dell'elaborata 'vestizione' di Vittoria al suo risveglio, un incipit che richiama subito alla mente quello analogo posto in apertura del capolavoro del regista, lo splendido Le relazioni pericolose. Il tema (da sempre caro a Frears) dell'individuo ingabbiato entro rigidi schemi di comportamento, ingranaggio di un meccanismo sociale assolutamente ferreo, ritorna dunque in maniera preminente in Vittoria e Abdul; e l'amicizia imprevedibile e 'scandalosa' fra i due protagonisti diventa pertanto la "variabile impazzita" in grado di scardinare tale meccanismo, suscitando la sorpresa, lo sbigottimento e addirittura il panico nel microcosmo dorato e spietato della corte inglese. Non a caso le battute più taglienti del film sono quelle dirette contro il tradizionale classismo insito nella cultura britannica, ed elevato alla massima potenza nell'ottica del rapporto di sudditanza fra l'Inghilterra e la colonia indiana durante e dopo l'età vittoriana. Se un soggetto del genere offriva l'occasione per 'graffiare' sul serio, magari spostandosi sul versante della satira, l'ironia del film rimane però a un livello più blando e, tutto sommato, inoffensivo: il copione di Lee Hall (sceneggiatore di Billy Elliot e War Horse) non colpisce mai davvero a fondo, ma è declinato in una comicità quasi da sit-com e piuttosto prevedibile. Ormai lontanissimo dall'innovatività e dal coraggio dei suoi titoli inglesi degli anni Ottanta, come My Beautiful Laundrette e Sammy e Rosie vanno a letto, Stephen Frears si accontenta di giocare sul sicuro e di percorrere strade già battute, affidandosi al talento di una mattatrice quale Judi Dench. Inutile ribadire, del resto, come quest'ultima riesca a dominare la scena senza difficoltà, dosando con precisione millimetrica i toni della commedia e del dramma (ma d'altra parte, personaggi di questo tipo sembrano cuciti su misura per lei), mentre attori come Eddie Izzard, Simon Callow, Michael Gambon e Olivia Williams si limitano di volta in volta a "servirle la palla". Se per la maggior parte della sua durata Vittoria e Abdul si mantiene su un registro brillante, risultando imperfetto ma comunque gradevole, purtroppo in prossimità dell'epilogo Frears stecca imperdonabilmente. Senza riprodurre neppure una frazione della profondità emotiva e psicologica di un grande film come The Queen, la pellicola assume al contrario toni melensi e smaccatamente patetici: quegli stessi toni che, seppure in misura minore, già penalizzavano il recente Florence (inferiore difatti al suo 'corrispettivo' francese, Marguerite), e che in questo caso conducono il racconto verso un finale lacrimevole e irritante. Vittoria e Abdul, per riassumere, è un'opera che si culla fin troppo nella convenzionalità di un cinema schematico e superficiale, e a cui stavolta non basta neppure la verve di Judi Dench per convincere appieno; e per quanto, negli ultimi anni, Frears abbia replicato spesso una formula analoga, la speranza è che un regista di tale levatura possa suscitare di nuovo il nostro entusiasmo. Magari tornando a correre qualche salutare "rischiosa abitudine".
Stefano Lo Verme (Movieplayer.it)
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