Drammatico di Stefano Sollima con Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola, Alessandro Borghi, Greta Scarano 130 minuti - Italia 2015
Roma è la città del potere, un potere che si concretizza su più livelli e con più anime, un potere che serpeggia per le vie della nostra Capitale sotto diverse forme. Un'idea ben rappresentata dal titolo Suburra, che si rifà al quartiere dell'antica Roma in cui segretamente il potere incontrava la criminalità, e sulla quale si concentra Stefano Sollima per il suo nuovo lavoro, che parte da un romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, e che va a completare un'ideale trilogia del regista sulla sua città dopo le due stagioni di Romanzo criminale - La serie.
Infatti Sollima torna nella sua Roma per affrontarne nuovamente deformazioni e problemi dopo la parentesi partenopea di Gomorra - La Serie (alla quale sta però tornando proprio in questo periodo per la seconda stagione) ma lo fa allargando il raggio d'azione della sua analisi, non limitandosi alla sola criminalità organizzata che era centrale nell'opera precedente, ma mettendo piuttosto al centro della narrazione diverse tipologie di male, diversi modi in cui questo prende forma nelle diverse declinazioni del potere che abita Roma a cui abbiamo accennato, da un capo all'altro della città laziale, dalla costa al Vaticano senza soluzione di continuità.
Roma è una città stratificata, fatta di più livelli, come ci suggerisce la sua stessa storia. Una caratteristica che si rispecchia anche nella sua struttura sociale, nella sua vita quotidiana, nel modo in cui i suoi mondi coesistono, si intrecciano e si sovrappongono. é l'antica capitale del mondo, ma in qualche modo conserva un ruolo unico anche nella realtà contemporanea, perché accoglie il Vaticano ed il Papa, per la nostra assurda classe politica che la abita e ci si muove, per una criminalità composta da tante diverse anime che si scontrano formando un tessuto complesso con cui è inevitabile avere a che fare. A tutte queste diverse realtà appartengono i personaggi di Suburra, dal politico di second'ordine interpretato da Pierfrancesco Favino, che non riesce ad essere altro che una pedina ma aspira al potere, al temuto Samurai di Claudio Amendola, uno dei principali rappresentanti della criminalità locale, al piccolo boss di Ostia Numero 8, un imprevedibile Alessandro Borghi, che si accompagna alla tossica Viola (Greta Scarano), fino allo strozzino zingaro Manfredi, la prostituta d'alto bordo (la Sabrina di Giulia Elettra Gorietti) e il PR Sebastiano (Elio Germano) che ha il solo merito di essere figlio di qualcuno di importante. Pedine incastrate nel meccanismo malato di Roma, che si danno da fare per raggiungere, mantenere o non perdere quel poco di potere che pensano gli spetti, e che si muovono sotto una pioggia scrosciante, un muro d'acqua alla quale Roma sopravvivere, come ha sempre fatto, lasciandosi alle spalle non un'Apocalisse, ma una simbolica fanghiglia da cui ripartire.
7 giorni all'Apocalisse. Con questa annotazione che sa di conto alla rovescia Stefano Sollima ci immerge subito in un vortice di eventi che precipita sempre più verso un epilogo inevitabile, in un crescendo di tensione e pathos. Un conto alla rovescia che scandisce le tappe del film verso una data che molti ricorderanno, il 12 Novembre 2011 e le dimissioni di Silvio Berlusconi; un countdown che rende concreta la storia di Suburra e ne scandisce il ritmo desolante, ma non ha legami stretti con la realtà, perché quello che Sollima racconta è un male su più livelli che non si lega direttamente a una figura o un evento in particolare, quanto alla deformazione di un sistema in senso ampio, che in singoli eventi esprime un sintomo e non la malattia. La caduta del governo e le imminenti dimissioni del Papa sono quindi uno sfondo su cui tratteggiare l'Apocalisse di Suburra, che ha però un sapore più personale, legato alle storie delle figure in gioco e non a Roma e l'Italia stessa, che assistono al domino che travolge i protagonisti con superiorità e distacco. Un sapore personale che però dal particolare romano riesce a raccontare una storia universale che, grazie anche all'impianto di genere, riesce a risultare internazionale dei modi e l'impianto visivo, tanto da non essere affatto casuale l'accordo di distribuzione con Netflix che porterà il film in streaming in America il giorno stesso dell'uscita italiana, in attesa di realizzarne una serie che sarà la sua prima produzione nel nostro paese.
Parlavamo di un impianto di genere, perché il nuovo lavoro del regista di Gomorra prosegue il discorso iniziato nel 2005 con Romanzo criminale e contribuisce a questo filone che si sta dimostrando vivo e di successo in Italia. Il regista in conferenza ha parlato del suo film come di un gangster movie o un noir metropolitano, ma di comprendere la definizione di western metropolitano, che si adatta anche ad alcune scelte della messa in scena: Sollima ha girato un film più statico dei precedenti, usando molti campi larghi, immergendo i personaggi nel loro ambiente per far sì che ognuno di essi portasse con sé il suo mondo, con i suoi colori e le sue caratteristiche, raccontandolo ed essendone a sua volta raccontato. La Ostia di Numero 8, l'opulenza delle feste d'alta società di Sebastiano e Sabrina, le stanze del potere della politica e gli alloggi del Papa, la chiassosa ricchezza degli zingari, sono i set nei quali si tesse la trama di poteri di Suburra, nei quali i tanti protagonisti di una storia corale si muovono, si incontrano e si scontrano. Una storia corale che la sceneggiatura di Stefano Rulli e Sandro Petraglia, che hanno scritto la pellicola con i due autori del romanzo, gestisce con tutte le sue sfumature, riuscendo a dare personalità e spessore a tutte le figure in gioco, indipendentemente dal tempo su schermo a disposizione.
Merito degli interpreti, dai collaudati Amendola, Favino e Germano, all'intensa assenza da tossica della Scarano fino alla sorpresa Alessandro Borghi che torna ad Ostia dopo un mese da Non essere cattivo (ma il film di Caligari in realtà è stato girato dopo di questo, quindi il giovane attore è stato Numero 8 prima di essere Vittorio) e conferma quanto di buono avevamo detto di lui in quel di Venezia. Ma è merito anche di una sceneggiatura e di una costruzione visiva che li segue e li osserva senza giudicarli, che li tratteggia come persone e non come villain di un film senza eroi, che tira fuori un brandello di umanità anche dai personaggi più sgradevoli e negativi. Merito di un percorso ben costruito che da un singolo evento iniziale fa partire una spirale inarrestabile e frenetica che porta i mondi e i mali di Roma a collidere e crollare.
Antonio Cuomo (Movieplayer.it)
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