Drammatico di Malgoska Szumowska con Janusz Gajos, Maja Ostaszewska, Justyna Suwala, Ewa Dalkowska, Adam Woronowicz 90 minuti - Polonia 2015
Scorrendo rapidamente la filmografia degli ultimi cinque anni, scopriamo che il tema del lutto è stato scandagliato da un gran numero di pellicole, tutte contraddistinte da un taglio molto preciso. Dal non fortunatissimo Cake di Daniel Barnz, forte di un'acclamata performance di Jennifer Aniston, a Wild, intenso viaggio di rinascita ed elaborazione raccontato da Jean-Marc Vallée, fino alle tre versioni de La scomparsa di Eleanor Rigby e al bellissimo e doloroso Alabama Monroe - Una storia d'amore passando, perché no, anche per il recentissimo Southpaw - L'ultima sfida di Antoine Fuqua.
Tutte pellicole che hanno mostrato il faticoso quanto straziante "dopo" che accompagna, come un peso da caricarsi sulle spalle, la perdita di un affetto. Un percorso in salita, fatto di giornate vissute in uno stato di sospensione, di incredulità, fino a quando non s'inciampa in una foto, un odore, un ricordo traditore che, improvvisamente, riportano violentemente alla realtà. E, sebbene non sia facile per nessuno vivere con una mancanza paradossalmente tangibile, è anche vero che per certe persone, più fragili o semplicemente meno strutturate, quell'elaborazione del lutto possa trasformarsi fino ad assumere forme cupe e autolesioniste.
Se la Cheryl Strayed interpretata da Reese Witherspoon nel già citato Wild si abbandonava a una spirale di droghe e sesso promiscuo all'indomani della morte della madre, Olga (Justyna Suwala), una dei tre protagonisti di Corpi, il film diretto da Malgorzata Szumowska e vincitore dell'Orso d'Argento a Berlino 2015 per la miglior regia, ha sviluppato una forma di bulimia patologica alla quale suo padre Janusz (Janusz Gajos) è incapace di far fronte fino al suo ennesimo tentativo di suicidio che lo convince a portarla in una clinica specializzata. Proprio tra le mura dell'Istituto i due entrano in contatto con Anna (Maja Ostaszewska), terapista esperta nella cura dei disturbi alimentari nell'adolescenza, ma anche medium capace di entrare in contatto con defunti desiderosi di portare un messaggio ai propri cari. E come presunto tramite con l'aldilà, Anna si ritrova a doversi confrontare con due modi diversi di vivere il lutto. Un lutto che anche lei ha vissuto anni prima, ma del quale sembra non essersi liberata, preferendo aiutare gli altri piuttosto che se stessa.
Olga, Anna e Janusz. Tre personalità molto differenti con un approccio al lutto totalmente dissimile. Questa diversità viene mostrata dalla regista attraverso il loro rapporto con il corpo, estensione e vero e proprio prolungamento del loro lutto. Olga è una ragazza di vent'anni che ha trovato nella bulimia il tramite attraverso il quale esplicitare il proprio dolore. La regista ne mostra la struttura emaciata e le abbuffate notturne, la rabbia e l'odio nei confronti di un padre incapace di prendersene cura e la fragilità data da un dolore che non riesce a gestire. Dall'altro lato troviamo proprio quell'uomo incapace di aiutare la figlia a superare l'assenza materna, mostrato in un atteggiamento agli antipodi rispetto a quello di Olga. Se la ragazza si rifiuta di mangiare qualcosa che non sia il junk food nascosto nella sua camera durante gli attacchi bulimici, il padre s'ingozza di cibo e alcool. Due modi differenti di colmare una perdita che si uniscono all'uso del corpo inteso da Anna come strumento terapeutico.
La medium/terapista, infatti, sembra aver azzerato ogni indizio di femminilità e sessualità dalla sua vita e usa il suo corpo (un corpo negato) solo come strumento di lavoro, aiutando le altre ragazze che ha in cura a ritrovare un equilibrio interiore che permetterà loro di ristabilire un contatto sano con il cibo, il dolore e il corpo. "All'inizio con la regista abbiamo deciso insieme come avrebbe dovuto apparire Anna. Esteriormente doveva essere assolutamente normale, non molto interessante. Quindi ho iniziato a pensare a come dovesse sembrare, come reprimesse la propria sessualità, come si muovesse o gesticolasse. Ho visitato molti ospedali e cliniche specializzate per la cura di disturbi alimentari negli adolescenti. Ho avuto modo di parlare con un professore con vent'anni di esperienza nel settore e ho letto moltissimo. Dovevo essere convincente anche come medium, così abbiamo contattato il Presidente dell'Associazione dei sensitivi polacchi e mentre giravamo ho avuto la fortuna di passare mezz'ora con un medium brasiliano che si trovava a Varsavia in quei giorni e gli ho domandato cosa provasse durante le sessioni" ci ha raccontato la Ostaszewska in questi giorni a Roma, aggiungendo "abbiamo lavorato con molti attori non professionisti, cosa che piace molto a Malgorzata. Quindi ho dovuto essere molto focalizzata su di loro e forse è stata la cosa più complessa di tutta la realizzazione del film perché loro avevano una naturalezza incredibile mentre giravamo e io dovevo cercare di non esagerare".
Ma il corpo non è solo quello dei tre protagonisti. Il titolo del film fa riferimento anche a quello dei defunti che proprio con la loro assenza fisica lasciano un vuoto difficile da gestire per chi resta. O ancora i corpi senza vita che Janusz, Procuratore della polizia di Varsavia, vede quotidianamente nel suo lavoro senza che quelle scene del crimine influiscano emotivamente su di lui. E va notato, come, in un film che parla di morte e di vita dopo la morte, quest'ultima non venga realmente mai palesata. Nelle scene del crimine presenti nella narrazione incentrata sulla figura di Janusz, i corpi senza vita o l'efferatezza degli omicidi non ci viene mai mostrata, se non in piccoli frammenti, ma solo raccontata attraverso le parole dello stesso uomo, unico impassibile testimone di tanto orrore. E proprio attraverso il suo lavoro, la regista inserisce una critica alla realtà sociopolitica di Varsavia, mostrandoci una periferia che sembra ferma a vent'anni fa, con la società divisa tra componente omofoba e antiabortista, e un'altra parte proiettata invece verso un'apertura inclusiva.
Corpi, nonostante tratti un tema difficile come quello della perdita e della sua accettazione, è pervaso da un umorismo nero che fa da contrasto alle sequenze più intense della pellicola. Dei veri e propri momenti di rottura, dal surreale al nonsense. E se George Lonegan (Matt Damon) in Hereafter di Clint Eastwood, soffriva il suo dono - poter parlare con i defunti - Anna vive la sua presunta capacità con totale accettazione, prendendo la sua dote molto seriamente. Allo spettatore non è dato sapere con certezza se la terapeuta sia una vera medium o meno e la sceneggiatura si limita a dare degli indizi che chi guarda è libero di interpretare come sente più giusto. Quello che realmente interessa alla Szumowska è cercare di raccontare, tra ironia e serietà, con un taglio da commedia nera, la fatica e il dolore che ogni individuo prova all'indomani della morte di una persona cara. Ci riesce fondendo nella narrazione dei momenti buffi, grazie ai quali mostra le varie sfaccettature che un lutto può assumere.
Manuela Santacatterina (Movieplayer.it) |