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Mercoledì 03 Luglio 2024
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IL CASO SPOTLIGHT
Drammatico
di Thomas McCarthy
con Mark Ruffalo, Michael Keaton, Rachel McAdams, Liev Schreiber, John Slattery
128 minuti - USA 2015

Dopo i successi di Gravity e Birdman negli scorsi anni, la Mostra di Venezia potrebbe aver trovato il nuovo titolo da lanciare per la corsa l'Oscar, speriamo con risultati altrettanto positivi: si tratta de Il caso Spotlight, nuovo film dell'attore/sceneggiatore/regista Thomas McCarthy dopo i buoni risultati ottenuti in passato con film indipendenti quali Station Agent o L'ospite inatteso. Con questa quinta regia McCarthy compie un bel balzo in avanti non solo per il risultato finale, ma soprattutto per visibilità e importanza dell'opera: questo Spotlight, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema numero 72, racconta infatti la vera indagine del 2001 da parte di alcuni giornalisti del Boston Globe (e poi premiata con il Pulitzer) che portò alla ribalta uno scandalo sessuale e pedofilo che coinvolgeva oltre 70 preti del Massachusetts e perfino il Cardinale Law che infatti finì col dimettersi dal ruolo di Arcivescovo di Boston. Spotlight è un'opera che per tanti motivi potrebbe rimanere a lungo impressa nella memoria degli spettatori e negli annali del cinema; ma se si tratta di un ottimo film - forse si potrebbe azzardare addirittura un capolavoro - è innanzitutto merito del vero team Spotlight e dell'ottimo lavoro di quei giornalisti: il soggetto di partenza è infatti talmente forte ed interessante da rappresentare da solo gran parte della forza del film. E non è solo la forza dello scandalo, o l'idea di intraprendere una "battaglia" contro la Chiesa, ma sono i tanti piccoli dettagli che rendono questa storia assolutamente vera quasi incredibile, come l'arrivo di Martin Baron - primo direttore ebreo nella storia del principale giornale di Boston, una delle città più cattoliche d'America - al posto e al momento giusto o anche i tragici avvenimenti dell'11 settembre che rischiarono di fagocitare l'attenzione della redazione. Ma nonostante la ricchezza di potenziali sottostorie di indubbio interesse, al centro del film c'è sempre e solo l'investigazione stessa, con le sue storie, i suoi intrecci, il suo allargarsi e complicarsi a macchia d'olio. Non si tratta quindi solo di un ottimo film; Spotlight è innanzitutto uno straordinario inno al giornalismo vero, quello di inchiesta, quello che può e deve cambiare (in meglio) le vite delle persone e può e deve dare un contributo reale alla nostra società, scoprendone gli scheletri nell'armadio e dando voci a coloro che non hanno, da soli, la forza e il coraggio per parlare. O urlare. Ma a rendere viva e coinvolgente questa investigazione ci sono gli uomini e le donne che ne sono protagonisti, nel bene e nel male. Le vittime che raccontano le loro terribili esperienze e lo fanno con esitazione, rabbia, vergogna e i giornalisti che non si fermano davanti a nulla pur di cercare la verità, ma non per questo dimenticano mai il lato umano della tragedia e il rispetto che è dovuto a coloro che hanno subito queste violenze e questi traumi. Così come non dimenticano che prima ancora di diventare "eroi" sono stati anche loro stessi, magari inconsapevolmente, parte del "sistema". E del problema. Nello sguardo di John Slattery e Michael Keaton verso la fine del film c'è tutto questo: quando ormai il traguardo è stato quasi raggiunto, nei loro occhi non c'è orgoglio e nemmeno gioia o sollievo, ma tutto il peso della vergogna e della responsabilità di non aver agito prima, di non essersi accorti prima di quanto stava succedendo nella loro città, nelle loro chiese, nei loro parchi. Non come giornalisti, ma come cittadini. Come cattolici. Come esseri umani. Molte di queste sopracitate sono caratteristiche che il film di McCarthy può vantarsi di avere in comune con una vera e propria gemma del cinema a stelle e strisce qual è Tutti gli uomini del presidente di Alan J. Pakula, un film che qui viene chiaramente citato in più di un'occasione così come tante altre opere rappresentative di un cinema americano che è stato, soprattutto negli anni '70, tra i più significativi dell'epoca, ma che oggi appare distante anni luce. Spotlight riesce a ricordarlo ed omaggiarlo senza per questo imitarlo, ma anzi fa risuonare in modo ancora più forte e potente la necessità di un qualche ritorno ad un cinema forse più semplice e lineare, ma non per questo più povero di emozioni. Anzi è proprio l'apparente semplicità, l'assoluta mancanza di un qualsiasi tipo di retorica o sensazionalismo, che riesce a far apprezzare al meglio il cast all star ma misuratissimo ed assolutamente eccellente (Liev Schreiber, Rachel McAdams, Stanley Tucci e Slattery sono tutti al top della forma, ma Keaton e Mark Ruffalo rubano la scena a tutti con due strepitose interpretazioni in crescendo) ed anche l'ottimo lavoro di tutto il reparto tecnico, fotografia e scenografia in primis, con menzione d'onore per la colonna sonora di Howard Shore ed il memorabile montaggio a cura di un fedelissimo del regista, Tom McArdle. Ma è nel mettere insieme tutti questi elementi e mantenerli in perfetto equilibrio per tutta la durata del film che c'è tutta la maestria di McCarthy, ed è così che quando nel finale del film l'articolo del Globe è finalmente in stampa e i giornalisti sono esausti, contenti e con le lacrime agli occhi per il risultato, lo stesso accade anche a noi spettatori, partecipi di un evento epocale e testimoni diretti di un grandissimo film che non dimenticheremo facilmente.
Luca Liguori (Movieplayer.it)
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