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QUO VADO?
Commedia
di Gennaro Nunziante
con Checco Zalone, Eleonora Giovanardi, Sonia Bergamasco, Maurizio Micheli, Ludovica Modugno
86 minuti - Italia 2016

Cabarettista, musicista, laureato in giurisprudenza e comico dagli incassi milionari: Luca Medici, in arte Checco Zalone, un nome scelto volutamente per omaggiare e allo stesso tempo fare ironia sulle sue origini meridionali - in dialetto "che cozzalone" vuol dire infatti grosso modo "che tamarro" -, è la novità più sorprendente del cinema italiano degli ultimi anni, almeno per quanto riguarda i risultati al botteghino. Al contrario dei suoi colleghi, Checco Zalone non abbandona quasi mai la maschera che si è creato, mantenendo il personaggio 24 ore su 24, trasformando così Checco in una vera opera d'arte vivente. Aggressivo ma non volgare in modo gratuito, amante di luoghi comuni sull'italiano medio, sfaticato, incivile, ignorante, ma sempre con un atteggiamento positivo verso la vita, Zalone è riuscito in pochi anni a conquistare una grandissima fetta di pubblico, andata in massa a vedere i suoi film: l'esordio del 2009, Cado dalle nubi, è stato un buon successo, bissato nel 2011 con Che bella giornata che, con i suoi quasi 43 milioni di incasso ha superato La vita è bella di Roberto Benigni come maggior risultato italiano al botteghino, e infine nel 2013, con Sole a catinelle record assoluto, con quasi 52 milioni di incasso per un totale di 8 milioni di biglietti staccati, Zalone ha centrato il maggior risultato di un film in Italia, superando colossi come Titanic e Avatar. Un successo che ha quasi dell'incredibile, che è allo stesso tempo un punto di forza e un ostacolo per il comico pugliese. Nato come macchietta comica televisiva grazie al palco di Zelig, Zalone in poco più di cinque anni è diventato un fenomeno cinematografico, uno che il suo produttore, Pietro Valsecchi, porta in trionfo additandolo come mago del botteghino ed erede dei grandi della commedia all'italiana: bastano però gli incassi record a fare di un attore e di un film un'opera d'arte e non una semplice operazione commerciale? Nei primi tre film Zalone ha puntato molto sul contrasto tra nord e sud, portando la sua chiassosa e colorata Puglia nella grigia ed efficiente Milano, per il più classico dei siparietti comici, che contrappone il trullo al panettone, mostrando differenze e similitudini delle varie regioni del nostro paese. Un meccanismo quanto mai consolidato e sicuro, che, alla sua quarta prova cinematografica, il comico ha abbandonato per fare un discorso più ampio e maturo: questa volta a essere preso di mira, con cattiveria e ferocia che non si vedevano da tempo, l'impiegato statale, simbolo del malcostume italiano, ossessionato dal posto fisso ma per nulla incline a lavorare. Zalone è infatti un addetto ai timbri del dipartimento Caccia e Pesca della provincia, che, con l'annullamento delle provincie, rischia di essere licenziato, a meno che non accetti di essere trasferito, arrivando a essere catapultato in un mondo per lui totalmente estraneo, il Polo. Tra i ghiacci, Zalone conosce Valeria (Eleonora Giovanardi), biologa che lo educa al rispetto dell'ambiente e alla scienza, di cui si innamora perdutamente e per cui si trasferisce in Norvegia, con i suoi tre figli di tre diversi colori e avuti da tre padri differenti. In terra straniera Checco impara a fare la raccolta differenziata, a rispettare il limite di velocità, a dividersi i lavori domestici con la compagna e a essere tollerante. La partenza è buona, gli intenti sono alti, parlare di impatto ambientale e famiglia allargata in una commedia italiana è quasi utopia, e nella prima parte Zalone riesce nell'impresa, ridicolizzando sempre più il malcostume italiano quanto più si allontana dalla penisola italiana, dimostrando di avere nel suo arco frecce che vanno al di là della parolaccia estemporanea o della battuta facile. Purtroppo però, con il procedere della pellicola, Quo Vado? perde sempre più forza, impantanandosi proprio negli schemi più facili che evita nella prima parte: quando il tutto si riduce alla cucina italiana che è meglio in casa che all'estero, con la compagna che rimane una figura mono-dimensionale per tutto il film, e con il finale che da caustico e brutale, in pieno stile commedia all'italiana, si trasforma invece in un abbraccio collettivo rassicurante, Zalone perde la sua forza dissacrante, appiattendosi volutamente su un lieto fine concepito per rassicurare il pubblico. La morte della satira. Non basta quindi il testo graffiante di "La Prima Repubblica" a mantenere alta la pellicola: con una canzone che ricorda il "bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga com'è" di Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Zalone lancia una strizzata d'occhio al pubblico più smaliziato, mentre con il lieto fine cerca di accaparrarsi la simpatia di tutti, con un atteggiamento "cerchiobottista" che è sia il segreto del suo successo che il suo limite. Liquidare Checco Zalone come un semplice "pupazzo" sarebbe da snob superficiali: se tanti italiani corrono in massa a guardare i suoi film, e non più i classici cinepanettoni, qualcosa di diverso ci deve essere nella sua comicità, fatto che emerge nettamente in questo quarto film, dove l'ambizione è più alta e i temi sono insoliti per una commedia, incredibilmente il protagonista impara qualcosa e cerca di cambiare, anche se basta l'esibizione di Al Bano e Romina al festival di Sanremo 2015 per far riemergere tutta la sua italianità più becera, e Zalone, da uomo di spettacolo consumato, sa adottare perfettamente entrambi i registri, sia quello più di pancia che quello più garbato e intelligente, ma, forse paradossalmente ostacolato dal suo enorme successo, non riesce a liberarsi dall'ansia di piacere a tutti i costi al pubblico, rifiutandosi di essere cattivo e cinico al cento per cento, rinunciando così a realizzare un film davvero significativo. L'ansia di superare il suo stesso record al botteghino ha forse tarpato le ali a quella che poteva essere una commedia graffiante e attualissima, che ritorna invece a essere presto un classico film vacanziero, concepito per staccare biglietti e meno attento al messaggio. Non aiuta poi la regia di Gennaro Nunziante, al quarto film in coppia con Zalone, che si limita a posizionare la macchina da presa in modo da essere quanto più al servizio del suo protagonista assoluto, non sfruttando la bellezza di paesaggi splendidi come quelli africani e norvegesi. Quo vado? è dunque un'occasione sprecata se si pensa a quella prima spietata mezz'ora iniziale, è invece perfettamente in linea con i precedenti se l'obiettivo è quello, in fondo poi nemmeno così banale, di farsi semplicemente quattro risate.
Valentina Ariete (Movieplayer.it)
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