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UN PICCIONE SEDUTO SU UN RAMO RIFLETTE SULL'ESISTENZA
Commedia drammatica
di Roy Andersson
con Holger Andersson, Nisse Vestblom, Lotti Törnros, Charlotta Larsson, Viktor Gyllenberg
100 minuti - Svezia 2014

Il nome di Roy Andersson a molti probabilmente non dirà nulla, ma il regista svedese, ormai ultrasettentenne, è in realtà un cineasta molto amato nel circuito festivaliero e del cinema europeo più autoriale, benché abbia realizzato in oltre 40 anni di carriera solo cinque lungometraggi. Gli ultimi tre compongono la cosidetta trilogia "sull'essere un essere umano", partita nel 2000 con Songs from the Second Floor, proseguita nel 2006 con You, the Living e conclusasi (ma Andersson già pensa ad un quarto capitolo) proprio qui alla 71. Mostra del Cinema di Venezia con A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence, in lizza per il Leone d'oro. Premio che difficilmente vincerà, visto che il suo cinema anti-narrativo e surreale non è per tutti i palati, ma non ci sono dubbi che che questa sua opera, esattamente con le due precedenti, rappresenti oggi un qualcosa di unico nel panorama cinematografico mondiale. Il film parte all'interno di museo di storia naturale, con un uomo che osserva, con attenzione ed una certa lentezza, degli uccelli imbalsamati all'interno di alcune teche di cristallo. Sulla sfondo si intravede uno scheletro di dinosauro e dall'altra parte della stanza una donna, con tutta probabilità la moglie dell'uomo, che attende quasi annoiata di proseguire oltre. Questa semplice e breve scena, non solo fa da prologo all'intera pellicola, ma in realtà ne riassume tutta la sua essenza: per tutta la durata del film saremo noi spettatori a spiare l'umanità intera attraverso quelli che sembrano più dei quadri animati che capitoli di un lungometraggio, e potete stare certi che per ogni spettatore catturato ed affascinato ce ne sarà sempre almeno uno con lo stesso atteggiamento di quella moglie, ovvero stufo, annoiato e impaziente di andare via. Andersson chiede molto ai suoi spettatori, visto che il suo stile è caratterizzato da inquadrature a camera fissa e piani sequenza che giocano molto sulla profondità di campo, lasciando quindi allo spettatore il compito di osservarne con attenzione i dettagli, e scrutare i volti e le azioni di tutti i protagonisti, spesso sullo sfondo e comunque mai in primo piano. Nessuno dei 39 ritratti (o mini-sketch, se così vogliamo definirli) offre mai alcuna spiegazione e nessun aiuto a comprendere l'intento finale del regista, e soprattutto nella seconda parte del film l'ironia geniale di alcuni momenti iniziali sembra pian piano cedere il passo ad una malinconia ed anche un pessimismo di fondo sempre più insistito così come una certa (voluta) ossessività nel riproporre alcune battute ed alcune situazioni. Ma quando Andersson è ispirato e spinge il pedale sull'ironia e sul surreale, il film non solo è divertentissimo ed acuto nel sottolineare le tante assurdità della vita, ma anche un vero piacere per gli occhi, visto che anche la messa in scena, spesso molto essenziale, diventa complessa e ricchissima come nel caso di un flashback di un vecchissimo avventore di un bar che ricorda quando, durante la guerra, la proprietaria del locale elargiva, cantando proprio come in un musical, alcolici gratis ai soldati in cambio di un bacio; oppure in una sensazionale sequenza, in un altro bar ancora, in cui tutto ad un tratto arriva Re Carlo XII a cavallo, e tutto l'esercito al suo seguito, per bere un'acqua minerale prima di andare in battaglia e fare delle avance al giovane cameriere. E poi tornare, a battaglia finita, sconfitto ed umiliato, per trovare anche il bagno occupato. Ma nonostante si rida, e molto, i temi che Andersson affronta sono soprattutto morte e solitudine, trattati con una freddezza scandinava che emerge fin dalla fotografia, spesso virata sul grigio e sul beige, e dall'atavica apatia e lentezza che sembra colpire tutti i suoi protagonisti e che sembra non lasciare alcuna speranza. I personaggi più presenti nel film sono d'altronde due funerei venditori di articoli per fare scherzi come denti da vampiro o maschere di gomma: la loro missione è quella di "far divertire la gente", ma l'unica risata arriva sempre e solo dal premere un sacchetto che dovrebbe catturare l'attenzione dei clienti, che per tutta risposta non li degnano mai di uno sguardo. Quello che i due hanno, oltre i debiti ovviamente, sono solo loro stessi. Il film di Roy Andersson è una gioia per gli occhi, da un punto di vista visivo questi suoi nuovi quadri viventi rappresentano davvero il meglio della sua filmografia, grazie anche al passaggio al digitale ed il suo utilizzo davvero sapiente. Da un punto vista concettuale invece, il regista continua la sua esplorazione del genere umano e lo fa con le sue consuete armi, ironia e cinismo, ma rimane l'impressione di non avere scavato, o comunque colpito, a fondo quanto nelle due opere precedenti. Però, forse proprio questo motivo, questo A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence può essere il modo migliore per approcciarsi ad un cinema ostico, inusuale ma certamente difficilmente dimenticabile.
Luca Liguori (Movieplayer.it)
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