Drammatico di Michael Haneke con Christian Friedel, Leonie Benesch, Ulrich Tukur, Ursina Lardi, Fion Mutert 145 minuti - Germania, Austria '08
Non era mai capitato che a un Festival si potesse giudicare quasi ogni film degno del massimo premio; ancor meno che fossero tra gli altri, ben tre film francesi (il quarto viene presentato oggi) a contendersi la Palma d' oro, per merito, e non per sciovinismo o perché presidente della giuria è questa volta Isabelle Huppert. Nella pagella di Le film Français i critici (francesi) assegnano7 Palme d' oro a Un prophète del francese Audiard, 4 a Les herbes folles del mito francese Renais e ieri era unanime l' assegnazione virtuale della vittoria a À l' origine del francese Giannoli. Quanto alle altre palme della pagella, la meriterebbero i film di Bellocchio, della Campion e della Arnold, di Park Chanwook, di To e persino del bistrattato Mendoza: tra i 14 film già votati dalla critica francese, solo due non hanno meritato neppure una palmetta. Si prevedono riunioni molto accese della giuria, perché su qualunque film, o attore, o regista, o altro riescano ad accordarsi, avranno sempre il rimpianto di aver dovuto escludere gli altri. Capita dunque che in un anno molto difficile per il cinema e per l' economia, mentre la cineindustria s' affanna a produrre costose pellicolone per platee adolescenti e passive e l' informazione insegue le vite private e i vestiti di attori ormai pensionati o in via di pensionamento, si moltiplichino i film d' autore anche con bravissimi ignoti attori privi di glamour, per un pubblico internazionale appassionato anche se non oceanico: e per esempio è forse la prima volta che le sale del festival non risuonano di quel fastidioso fracasso di sedili abbandonati lungo tutta la proiezione (pure dopo 10 minuti), perché la gente resta silenziosa e presa sino alla fine, anche con film mediamente superiori alle due ore. Das weisse band (Il nastro bianco) dell' austriaco Michael Haneke, si aggiunge ai film che meriterebbero la Palma d' oro, se non ci fosse un conflitto d' interessi che come tale ovunque - tranne che in Italia - viene preso sul serio. Il severo regista Haneke, 67 anni, cui nessuno è mai riuscito a strappare l' ombra di un sorriso sia pure dietro il sipario di barba e baffi bianchi, ha diretto Isabelle Huppert nel film La pianista, presentato a Cannes nel 2001, Gran premio della Giuria il film, premi ai migliori attori alla Huppert e al giovane Magimel. Questo suo passato, dicono gli esperti, lo escluderebbe dalle Palme oggi presiedute dalla Huppert stessa, tanto più che nel 2005 il suo Caché si prese il premio per la regia. Si sa che Haneke ha una visione del mondo e dell' umanità perversa e senza riscatto, e questo nuovo film appare ancora più disturbante di altri suoi: anche se non ci sono torture perpetrate da bei giovanotti eleganti su una famiglia innocente come in Funny games (pure nella versione americana sempre diretta da lui), né, come in La pianista, c' è una signora che si tagliuzza con una lametta le parti intime mentre la mamma grida "il pranzo è pronto!". Alla vigilia della prima guerra mondiale, in un villaggio agricolo del Nord della Germania, in cui quasi tutti lavorano miserevolmente al servizio del Barone, accadono incidenti strani e drammatici: una caduta da cavallo provocata, la morte di una contadina, il figlioletto del Barone brutalmente picchiato, quasi accecato il piccolo handicappato figlio dell' infermiera. Nelle modeste se non povere case piene di figli, la vita è tranquilla, patriarcale, piena di orrori nascosti: il pastore protestante, esempio di virtù, punisce a bacchettate i figli indegni di quel nastro bianco che premierebbe la loro purezza, i figli ubbidiscono in silenzio covando le loro segrete vendette, le donne non contano, servono. Il medico vedovo, stanco dell' infermiera-amante, le dice all' improvviso, mi disgusti, ti puzza il fiato,a toccarti ho vergogna di me. Sarà la devota figlioletta quattordicenne a subirne in silenzio, la «voglia di carne profumata». Il lucente bianco e nero senza ombre della pellicola comunica un sinistro senso di mistero che resta tale perché quando il giovane maestro tenta di decifrarlo, sarà il pastore stesso, virtuoso ma ipocrita, a impedirglielo. Haneke spiega fumosamente il senso del suo film, che è universale, riguardando tutta la natura umana e non solo quella tedesca. Ma lo spettatore, agghiacciato, immagina che in quel microcosmo in un quieto angolo della Germania, quegli adolescenti impenetrabili, cinici, sprezzanti, vent' anni dopo saranno adulti; e la loro abitudine a ubbidire in silenzio a un potere autoritario, a trasformare la violenza subita in ferocia sui più deboli e i diversi, la diffidenza, la brutalità, l' ignoranza, l' invidia, che allora li legavano e separavano, avranno uno sbocco politico entusiasta e tragico. Resta la curiosità di sapere dove il regista abbia trovato attori anche molto giovani, tutti bravissimi, di aspetto così antico, miserevole, rustico, corrotto, deformato: a meno che sia il loro talento e quello di Haneke, a trasformarli in dagherrotipi sbiaditi e dimenticati da un secolo in soffitta.
Natalia Aspesi (La Repubblica) |