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Mercoledì 03 Luglio 2024
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L'UOMO CHE VERRA'
Drammatico
di Giorgio Diritti
con Claudio Casadio, Alba Rohrwacher, Maya Sansa, Greta Zuccheri Montanari
119 minuti - Italia '09

Inondati da rievocazioni scolastiche o ricostruzioni troppo schematiche della Seconda guerra mondiale e dei suoi episodi, dove il cinema viene piegato alle ambizioni propagandistiche di questo o di quello, la visione di L' uomo che verrà offre lo stesso sollievo di una boccata di aria fresca a chi si sente soffocare. Rigoroso, emozionante, onesto, appassionato, il film di Diritti sa coniugare lucidità morale e lettura storica con uno stile insolito per il cinema italiano, di elegante e non ostentata classicità. Da vero (e grande) regista. A l Festival di Roma aveva vinto il Gran premio della Giuria e quello del Pubblico (con qualche scorno per chi non l' aveva selezionato a Venezia) e oggi inaugura - speriamo beneaugurante - la distribuzione della rinnovata Mikado, passata di mano (da DeAgostini a Tatò) nell' autunno scorso. Il film, ambientato nelle colline bolognesi vicino a Marzabotto, racconta la dura vita quotidiana della famiglia contadina Palmieri, dall' inverno 1943 all' autunno 1944: i nazisti presidiano con determinazione la Linea gotica, i partigiani si impegnano nell' infastidire e sabotare le azioni degli occupanti e i civili cercano di campare alla meno peggio, subendo le intimidazioni degli uni e le richieste degli altri, mentre la vita non può che continuare il suo percorso: Lena (Sansa) porta in grembo l' «uomo che verrà» a cui fa riferimento il titolo, la cognata Beniamina (Rohrwacher) spera di migliorare la sua condizione andando a servire a Bologna, il marito Armando (Casadio) si dibatte tra i vincoli della mezzadria e le imposizione fasciste, tutti, insieme ai contadini che abitano nella stessa cascina, condividendo la dura vita quotidiana e quel che resta della voglia di trovarsi insieme a ballare o chiacchierare. A guidare lo spettatore c' è lo sguardo curioso di Martina (Zuccheri Montanari), la figlia di Lena e Armando, diventata muta dopo la morte di un precedente fratellino e trepidante custode di quello in arrivo: grazie a lei conosciamo i comportamenti delle truppe naziste, le fughe precipitose nei nascondigli tra i boschi, le azioni dei partigiani, le morti e le sconfitte, ma soprattutto l' inevitabile intrusione della guerra, e della sua violenza, nella vita di tutti i giorni. Il fratellino nascerà nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1944 e la Storia ci ha già detto che cosa succederà negli stessi giorni: in nome di un' agghiacciante esigenza di «bonifica territoriale», i nazisti rastrellano più di ottocento persone, soprattutto donne, bambini e anziani, che uccidono senza nemmeno la giustificazione di una rappresaglia. Non anticipiano il destino dei personaggi che abbiamo conosciuto e che il film mostra con documentata partecipazione ma sarebbe ingiusto ridurre L' uomo che verrà a una, pur corretta, ricostruzione della strage di Monte Sole (Marzabotto è solo uno dei comuni della zona, quello più conosciuto). Diritti guarda oltre, alla sofferenza e alla disperazione di tutti coloro che il cinismo del linguaggio definisce come «danni collaterali», al dolore e alla tragedia di quegli inermi che pagano sulla propria pelle la follia della guerra. Per farlo non amplifica le occasioni di spettacolo o di suspense. Non gli interessa - giustamente - farci palpitare per chi si salva perché dietro a ogni vita risparmiata ce ne sono troppe distrutte. Piuttosto vuole farci riflettere sulle assurdità delle guerre e delle violenze. E non tanto in nome di un pacifismo razionale ma per un' umanissima empatia con le vittime. A quegli uomini, quelle donne e quei bambini che vanno incontro alla morte ci siamo affezionati vedendo la grama vita quotidiana, sentendo il loro odore di terra o di stalla e soffrendo la loro stessa povertà, ascoltando la durezza di una lingua che ha le stesse asprezze dei volti (per questo era necessario far parlare tutti in dialetto; per questo non disturbano i necessari sottotitoli). Diritti filma tutto con uno stile che sarebbe piaciuto a Bazin e a chi come lui rivendicava al cinema la capacità di restituire sullo schermo la forza della realtà: gira dal vero, mescola volti di professionisti (Sansa, Rohrwacher, Casadio: tutti eccellenti) a altri presi sul posto (la piccola Greta Zuccheri Montanari ma anche i tanti vecchi dei luoghi, alcuni, da giovani, testimoni del vero eccidio nazista), evita luoghi comuni e cadute retoriche. E riesce a regalarci una delle più belle prove di un cinema finalmente necessario, di altissimo rigore morale e insieme di appassionante e coinvolgente forza civile. Un capolavoro.
Paolo Mereghetti (Corriere della Sera)
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