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Mercoledì 03 Luglio 2024
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LA ROSA BIANCA - Sophie Scholl
Drammatico/Biografico
di Marc Rothemund
con Johanna Gastdorf, Gerald Alexander Held, Fabian Hinrichs, Julia Jentsch
117 minuti - Germania '05

La rosa bianca - Sophie Scholl racconta l’arresto, il processo e l’esecuzione capitale della ventunenne bavarese che insieme con il fratello Hans e l’amico Christoph Prost animò il gruppuscolo cattolico «Die Weisse Rose». Sei giorni, dal 17 al 22 febbraio 1943, durò il calvario della studentessa in biologia, sorpresa da un bidello mentre diffondeva volantini antinazisti nell’atrio dell’università di Monaco. Arrestata, a lungo inquisita per strapparle nomi di complici che non fece, processata per direttissima dai giudici in divisa di un sedicente Tribunale del popolo, Sophie fu ghigliottinata alla svelta con i suoi due compagni. Altri registi. fra i quali Michael Verhoeven e Percy Adlon (entrambi nel 1982), avevano già raccontato lo stesso evento, ma Marc Rothemund (classe 1968) ha potuto avvalersi di nuovi documenti emersi dagli archivi dell’ex-DDR e ricostruire con rigorosa puntualità da «docudrama» il duello fra la prigioniera e l’inquirente della Gestapo, Robert Mohr, di cui è stato intervistato il figlio. Mohr padre era un funzionario di lungo corso, corretto nel valutare le prove e non alieno dal riconoscere qualche attenuante per tentare di salvare la vita della ragazza, sicché lo vediamo alternare gesti di umanità (la sigaretta, il caffè) a improvvise esplosioni di furore quando l’interrogatorio non procede. Ben presto però la Scholl, crollati gli alibi, finisce per ammettere ogni responsabilità. A parte una possibile riserva sulla tessitura drammaturgica, che ogni tanto sembra ispirata al senno di poi, lo stile del film è secco, privo di retorica o sentimentalismo: e i duellanti sono incarnati da un paio di eccezionali talenti del teatro tedesco, Julia Jentsch (primattrice dei Muenchner Kammerspiele, da molti considerata la nuova Jutta Lampe) e l’eclettico Alexander Held (popolare in Germania, soprattutto come interprete di musical). E mentre la vittima porge il collo alla mannaia con uno stoicismo che ricorda Chaplin nel finale di Monsieur Verdoux, nell’occhio del poliziotto si legge in anticipo la condanna che sulla sua parte decreterà la storia. Se l’espressione non fosse rischiosa (al cinema la gente vuol andare per scelta, non per imposizione) proporrei di considerare La rosa bianca un film dell’obbligo. E non solo per la serietà con cui rinfresca la memoria su uno dei rari esempi di resistenza contro Hitler, ma per le riflessioni che l’esempio di Sophie può suggerire in un mondo come quello di oggi dove sono ormai legione le persone disponibili a dare la vita per un’idea però trascinandosi dietro molte altre vite. Nelle file degli integralisti islamici continuano infatti a infoltirsi le liste d’attesa degli aspiranti kamikaze, affascinati dalla macabra prospettiva di farsi esplodere in mezzo a folle di vittime innocenti; e i nastri con i «testamenti parlati» degli attentatori si comprano o noleggiano nei negozi di video, come abbiamo appreso dal film Paradise Now. Paragonata a tale ondata di follia postmoderna, la linea di condotta dei congiurati di La rosa bianca dimostra che si può compiere il gesto più radicale, oltre che politicamente efficace, limitandosi a mettere in ballo la propria vita senza prendere in mano un arma nè fare del male a nessuno. In tal modo Sophie, Hans e Christoph sono assurti davvero a quel paradiso laico rappresentato dalla coscienza di tutti. E non stupirà sapere che mentre di giorno girava il film, di sera sul palcoscenico Julia Jentsch incarnava Antigone trasformando così l’eroina di Sofocle in un personaggio del nostro tempo e regalando a Sophie Scholl un meritato alone da tragedia classica.
Tullio Kezich (Corriere della Sera)
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