Drammatico di Tom Ford con Colin Firth, Matthew Goode, Ginnifer Goodwin, Nicholas Hoult, Julianne Moore 95 minuti - USA '09
Patinato, elegante, quasi metafisico, sinceramente convesso senza pietismi su un uomo che in una giornata deve riuscire a rimuovere la propria solitudine o s' uccide, il primo film dello stilista Tom Ford è glamour e stupefacente. Ha stile e non i difetti dei «deb», riesce a modificare col piacere dell' età, l' ultimo bellissimo romanzo del 1964 di Isherwood che Adelphi ha editato, iniziando dalla fine a ripubblicare lo scrittore inglese, amico di Auden e Hockney, noto per la prima stesura di Cabaret. Citazioni letterarie: elimina «Le due culture» di Charles Snow, cult d' epoca, mantiene Huxley e inserisce Capote ed Ovidio. Se il libro, dedicato a Gore Vidal, insiste sul senso del passato, il film mostra l' esperienza fenomenologica di un uomo che, già con pistola carica, rimuove inconscio il lutto per il compagno morto, riscoprendo i piaceri e le generosità naturali: avanti un altro. Ma lo spirito del romanzo è rispettato nei desolati panorami alla Hopper in cui l' inglese prof. George divide la solitudine con una amica, la furiosa e cotonata Julianne Moore che lo trascina nel twist vodka e gin di «Green onions». Siamo nel 1962, il regista aveva un anno. Cuba e le armi nucleari, ma anche l' alito cattivo, impauriscono la middle class, il poster di Psycho impazza, il professore in classe parla dei timori razzisti nascosti, gettando un amo raccolto dall' universitario che amabilmente lo molesta con un bagno nudo notturno in oceano. Ford dirige, veste e produce un film che vorrebbe essere muto, elegantemente disegnato in cui riversa la sua storia e il cui senso, partendo certo dall' amore gay è però rivolto a tutti, vincendo con la discrezione del vissuto l' immagine effimera del cinema. Basta la scena di Colin Firth al telefono a metterlo tra i grandi: gestisce la storia con profonda misura e copyright espressivo, mosse psicologiche impercettibili, raggiungendo un suo mini Nirvana. Film vicino al Bogarde ricattato di Victim e alle domeniche maledette domeniche di Finch, pudico anche se Ford ha inserito un ragazzaccio spagnolo: il miracolo è restar in equilibrio tra i piani espressivi inclinati di «Blue moon» e della «Wally» di Catalani, di Losey e Wong Kar-wai, il realismo del suicidio annunciato col nodo Windsor della cravatta pronto e l' astrattezza raggiunta da chi dice proustianamente: «Vivere il passato è il mio futuro».
Maurizio Porro (Corriere della Sera)
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