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Mercoledì 03 Luglio 2024
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IRINA PALM - Il talento di una donna inglese
Drammatico
di Sam Garbarski
con Marianne Faithfull, Miki Manojlovic, Kevin Bishop, Siobhan Hewlett, Dorka Gryllus, Jenny Agutter, Corey Burke
103 minuti - Belgio, Gran Bretagna, Francia 2007

C' è la volgarità e c' è la trivialità. Non sono due cose da confondere, perché la prima si riferisce al modo in cui viene trattato un determinato argomento, mentre la seconda - la trivialità - sta a indicare il contenuto di quel determinato argomento. E siccome nella vita con le cose triviali dobbiamo fare i conti tutti i giorni (perché la vita è fatta anche di questo, a cominciare dalla sessualità e dalla corporeità delle persone), il vero discrimine, almeno quando si parla di cinema, diventa il modo in cui gli argomenti triviali vengono raccontati dalla macchina da presa. Billy Wilder, tanto per fare il solito esempio, è stato un maestro anche in questo, nel filmare senza volgarità temi triviali, mentre i tanti film che usano la prospettiva del buco della serratura per mostrare il mondo spesso riescono a rendere volgari anche argomenti che non lo sarebbero. Irina Palm fa parte della prima categoria, anche se Sam Garbaski non è certo un Billy Wilder e il distributore italiano, la solitamente beneducata Teodora, non ha saputo resistere alla tentazione del doppiosenso, aggiungendovi un inutile sottotitolo: Il talento di una donna inglese. Il bello del film è invece il fatto che quel talento, nascosto nelle mani della protagonista e di cui fanno esperienza i frequentatori di un peep show londinese, è raccontato senza nessuna ombra di volgarità. Nonostante la trama sia tutta costruita su argomenti che più triviali non si potrebbe. E cioè sull' esperienza lavorativa di una vedova ultracinquantenne che per trovare i soldi necessari a far operare il nipotino accetta un insolito lavoro in un locale di Soho. Lei è Maggie e ha il volto oggi un po' fanée di Marianne Faithfull, ex star del rock inglese (era lei «Sister Morphine» dei Rolling Stones) entrata nei panni di una anonima casalinga dell' estrema periferia londinese: ha già venduto la casa per curare il nipotino ma solo in Australia sembra che il piccolo possa guarire. E non c' è tempo da perdere, perché la malattia avanza. Così Maggie gira per Londra in cerca di prestiti che nessuno vuole fare a una vedova pensionata (c' è da pagare l' aereo per i genitori e il soggiorno a Sydney), fino a finire in un locale dove cercano un' hostess: lei pensa di dover fare le pulizie e servire il tè, ma il proprietario (Miki Manojlovic) le spiega che quella definizione è «un eufemismo» per ben altro. Poi, vista l' età ma anche la morbidezza delle sue mani, le propone di soddisfare i clienti attraverso un «esclusivo» buco nel muro («L' ho visto a Tokyo, ma a Londra sono il solo ad averlo» dice con un certo orgoglio professionale). Loro introducono il proprio membro e lei... Scandalo, sdegno, ma poi riflessione e retromarcia: la malattia peggiora e il tempo stringe. E Maggie si troverà così ad affrontare un impensato successo professionale (per le sue mani i clienti fanno la coda, e per uscire dall' anonimato il gestore la ribattezza «Irina Palm») ma anche a dover respingere il disprezzo del figlio, che non vorrebbe accettare soldi guadagnati in quel modo, e il moralismo delle amiche, che non vogliono più dividere tè, pasticcini e giochi di carte con l' amica peccaminosa. Piccoli (o grandi) contraccolpi di una tardiva carriera da «pornostar» che innescano alcuni momenti di autentico divertimento: le migliorie domestiche che Maggie porta al suo squallido luogo di lavoro, le domande delle amiche sugli «oggetti» delle sue attenzioni, l' offerta in stile «antico romano» che le fa un imprenditore concorrente, la curiosità delle zitelle del villaggio. Eppure, nonostante l' argomento che potrebbe scivolare ad ogni scena nella più risaputa delle pochade, Irina Palm resta miracolosamente al di qua della linea rossa della volgarità. Anzi, lungo tutto il film si respira un' aria malinconica e dimessa che ben si adatta al personaggio della Faithfull, tipica rappresentante di quella working class maltratta dalla Thatcher e non molto risarcita da Blair. Ma soprattutto indicativa di una moralità ancora legata alle apparenze e ai diktat del perbenismo, contro cui Maggie/Irina finisce per condurre una lotta silenziosa ma testarda, come se non avesse per niente dimenticato quella voglia di ribellione e di libertà, anche sessuale, di cui la Faithfull anni Sessanta aveva fatto la propria bandiera. Certo, si dovrebbe anche parlare della furbizia del film, del suo ridurre molto a macchietta o della sua «prudenza» nello scavare dentro certe situazioni, ma è anche vero che la discesa di Maggie negli «inferni» del sesso a pagamento è raccontata come una favola fuori dal tempo, dove il lieto fine è d' obbligo e la scoperta della propria abilità nel dare piacere è vista come una specie di «elisir di giovinezza» con poca malizia e nessun peccato.
Paolo Mereghetti (Corriere della Sera)
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