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Mercoledì 03 Luglio 2024
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GIORNI E NUVOLE
Drammatico
di Silvio Soldini
con Margherita Buy, Carla Signoris, Antonio Albanese, Giuseppe Battiston, Teco Celio, Fabio Troiano
116 minuti - Italia 2007

Due soci che ti fanno fuori, un passo falso negli investimenti, e il mondo ti casca addosso. Succede a Elsa e Michele (Margherita Buy e Antonio Albanese), coppia agiata e di buona cultura che da un giorno all'altro deve ricominciare da zero. Addio barca, viaggi e ristoranti, basta con piccoli e grandi privilegi. Compresi gli studi di storia dell'arte per la povera Elsa, che restaurando un antico palazzo a Genova, dove vivono, stava per fare una scoperta molto interessante. Insomma addio certezze. Materiali e affettive, perché le due cose naturalmente si danno la mano. E a forza di sentirsi proporre lavori umilianti, o di abituarsi al fatto che ora è la moglie a tirare la carretta, a costo di lavorare in un call center, il pur innamorato Michele non tarderà molto a perdere la testa. Con una storia così si finisce quasi sempre in commedia o in tragedia. Come accade con le faccende troppo serie per non riderne, o troppo assurde per non finir male. In Giorni e nuvole invece (Première) Soldini allenta le redini e segue la deriva dei suoi personaggi con un pietoso stupore che lì per lì lascia perplessi mentre invece porta lontano. Siamo in una zona grigia in cui nulla è definitivo, per fortuna, ma tutto è precario, sfuggente - e proprio questa è la maledizione. Così il mite Michele, che già non vedeva di buon occhio il nuovo fidanzato della figlia ventenne (Alba Rohrwacher, bravissima, sono sue le scene più belle del film), non perde occasione per fare scenate, a lei come alla moglie, chiudendosi in un astio sempre più malato. Tranne che per la breve parentesi "imprenditoriale" vissuta con due suoi ex-dipendenti, ora disoccupati come lui, insieme a cui si inventa lavoretti da imbianchino e tappezziere, tanto per non impazzire. Riscoprendo tutto un mondo maschile fatto di solidarietà, intesa, collaborazione. Anche se pure questo non dura. In queste pieghe inattese sta il succo di un film che a tratti invece suona ovvio o gira un po' a vuoto come i suoi personaggi (le visite al vecchio padre in casa di riposo, il flirt sul lavoro della Buy, il finale poetico-ottimista, perché non sia mai che un film italiano finisca male), mentre colpisce nel segno appena sembra divagare. Anche se poi, come il 90 per cento dei nostri film, non somiglia tanto all'Italia quanto ad altri film italiani. Come se i nostri spettatori non avessero più il diritto di essere scossi o almeno stupiti, come succede con i film americani, francesi, tedeschi, spagnoli (dicono niente Risorse umane, A tempo pieno, I lunedì al sole?), ma andassero sempre confortati e rassicurati. Dev'essere anche per questo che c'è un boom dei documentari.
Fabio Ferzetti (Il Messaggero)
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