Cartoni animati di Brad Bird, Jan Pinkava 117 minuti - USA 2007
Il più bel film mai uscito dai computer della Pixar, che sforna solo gioielli (Bug's Life, Monsters & Co., Alla ricerca di Nemo...), è una fiaba fantastica e a suo modo realistica costruita su un gioco magistrale di contrasti. Parla di cibo, ma ha come eroe uno degli animali più repellenti per noi umani, un topo (e topo di città, dunque di fogna, non sorcetto di campagna stile Mickey Mouse). E' un film d'animazione, ma si basa su un lavoro di inchiesta solido come una corazzata che ha tenuto per mesi uno stuolo di yankee presumibilmente pessimi mangiatori fra i fornelli della haute cuisine francese per carpire usi, gesti, ruoli, mentalità (e odori, colori, sapori, ricette). Infine è una celebrazione e insieme una presa in giro dell'arte più arrembante nel nostro ipernutrito Occidente: la gastronomia, propagata da un numero così folle di film, libri, riviste, tv, nonchè di festival e mostre dedicati a ogni possibile commistione (cibo e cucina, cibo e arte, cibo e sesso, eccetera), che è inevitabile chiedersi cosa nasconda questa ossessione. Magari partendo proprio da Ratatouille (da ieri nelle sale).
Cos'è infatti questo topo autodidatta e mutante, capace di alzarsi su due zampe e di comunicare con gli umani, se non la metafora di un bambino che cresce, certo, ma anche di un artista che scopre e corona la sua vocazione? Si dirà che la cucina non è un'arte, ma proprio qui sta il punto. Basta scambiare il bello (a volte difficile) col buono (accessibile a tutti), e i conti tornano. Difatti il topo visionario Rémy, da vero artista, non vuole parlare agli iniziati, vuole conquistare le masse. Sa di avere un dono. Riconosce ogni ingrediente. "Sente" i sapori uno ad uno, in ogni sfumatura, associandoli per sinestesia a suoni e colori (discreto omaggio, en passant, a Baudelaire, visto che siamo a Parigi). Ma i suoi simili, poveri topastri comuni, non capiscono. Mangia la tua spazzatura e non seccare, gli dice il padre. Il buon Rémy però non può accontentarsi di snidare i bocconi avvelenati. Un artista ha bisogno di altri orizzonti, come un bambino ha bisogno di crescere: e quando il caso lo porta proprio nel ristorante fondato dal grande e defunto Gusteau, il suo idolo, la voce della sua coscienza, per Rémy inizia una nuova vita. Il resto è così folle, divertente, solido e coerente che sarebbe un peccato non scoprirlo al cinema. Diciamo solo che per diventare il nuovo re delle tavole parigine l'ardito Rémy, chenon parla né può maneggiare mestoli e tegami ma è un prodigio di comunicazione non verbale, imparerà a "telecomandare" l'imbranatissimo sguattero del ristorante nascosto sotto il suo cappello (ecco l'arte e l'identificazione: chi di noi non vorrebbe un genio buono nascosto da qualche parte che lo rende capace, se non di dipingere o scolpire, almeno di montare, impastare, frullare, affettare, condire, come un grande chef?).
Torna in mente anche il vecchio trucco di Cyrano, che suggeriva al corteggiatore aitante ma incolto le parole con cui sedurre la sua bella. Solo che Ratatouille, democratico e postmoderno, non canta le gioe dell'amore (adulte e individuali), bensì quelle della tavola (collettive e senza età). Di qui, oltre al divertimento, l'allegria che infonde nello spettatore (meravigliosa la madeleine che converte il critico-vampiro). Specie se è in grado di apprezzare il poderoso lavoro di sintesi (fisiognomica, urbanistica, culturale), compiuto dagli animatori. Che sfruttano ogni dettaglio materiale, dalle cucine al bateau-mouche sulla Senna, per rendere viva e concreta questa avventura virtuale. Bel paradosso: un film tutto generato al computer che ricrea l'esperienza più corporea che ci sia.
Fabio Ferzetti (Il Messaggero)
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