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Mercoledì 03 Luglio 2024
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LA GIUSTA DISTANZA
Drammatico
di Carlo Mazzacurati
con Giuseppe Battiston, Fabrizio Bentivoglio, Valentina Lodovini, Stefano Scandaletti
106 minuti - Italia 2007

Forse non c' è nella generazione «di mezzo» del cinema italiano (i quaranta/cinquantenni) un regista più legato del padovano Carlo Mazzacurati alla propria terra d' origine e alla voglia di scavarci dentro, di raccontarne le ruvidità, di metterne a fuoco le meschinità quotidiane ma anche di capirne compromessi e bassezze. Le sue radici, più umane che strettamente geografiche, sono la sua più vera fonte di ispirazione e di riflessione (vedi i tre bellissimi ritratti, in coppia con Paolini, fatti a Rigoni Stern, Zanzotto e Meneghello). E i suoi film più riusciti - Notte italiana, Un' altra vita (la cui ambientazione romana sembra davvero accidentale), Il toro, Vesna va veloce - girano tutti intorno alla marginalità e all' anima provinciale (come limite, come condizione, come condanna). Con La giusta distanza Mazzacurati torna alle sue radici anche geografiche, ambientando il film nell' immaginario borgo di Concadalbero, verso il delta del Po, a cui la fotografia in formato panoramico di Luca Bigazzi dà un respiro inedito con la sua voglia di «abbracciare» cose e persone. In questa fetta di terra distesa e indefinita come la linea di un orizzonte, l' arrivo di una piacente maestra toscana, Mara (Valentina Lodovini) increspa per un attimo le acque: stuzzica la fantasia del diciottenne Giovanni (l' esordiente Giovanni Capovilla), fa battere il cuore al meccanico tunisino Hassan (Ahmed Hafiene), accende il gallismo del piccolo borghese Amos (Giuseppe Battiston) e le fantasia di qualcun altro. Per due terzi del film, Mazzacurati (che ha scritto la sceneggiatura con Doriana Leondeff, Marco Pettenello e Claudio Piersanti) osserva i comportamenti quotidiani di questi personaggi, intrecciando i punti di vista, facendosi momentaneamente «distrarre» dall' inevitabile folclore locale, raccontando le ambizioni professionali di Giovanni (vuol fare il giornalista e viene istruito sulla «giusta distanza» da tenere verso i fatti da uno scafato Bentivoglio), sfiorando le tensioni xenofobe che si muovono sottotraccia. Per una buona parte La giusta distanza dà l' impressione di un piacevole girare a vuoto, di perdersi tra i propri personaggi, come se il regista fosse una specie di flaneur senza ambizioni intellettuali, che si «accontenta» di fissare i tratti di un volto, di smascherare una debolezza, di sorridere per un carattere. (E qui bisognerebbe anche sottolineare la capacità di Mazzacurati di prendere volti cabarettistici e televisivi per renderli credibili personaggi delle proprie storie: qui Natalino Balasso, come già in passato i Fratelli Ruggeri o Antonio Albanese). Poi, l' uccisione di Mara fa precipitare i fatti e spinge il film sui binari, forse più rodati ma anche più scontati, del giallo di provincia. Mazzacurati si preoccupa di evitare ogni sottolineatura scandalistica, ogni possibile efferatezza: se la descrizione della vita di provincia, con le sue piccole miserie quotidiane, non possedeva i toni strillati del facile sensazionalismo televisivo e giornalistico, anche il «male» rientra nell' alveo di una «normale» banalità. Rispetto a cui la «giusta distanza» che tutti sembrano voler rispettare finisce per far venire a galla pregiudizi e paure. E senza svelare i colpi di scena dell' epilogo, aggiungiamo soltanto che per fortuna un personaggio si ribellerà a quella regola, si farà coinvolgere emotivamente e così riuscirà almeno a ristabilire la verità. Eppure l' amaro lieto fine del film finisce per sembrare l' ennesima trovata di sceneggiatura, che in qualche modo rassicura l' emotività del pubblico ma che anche banalizza con le tinte forti del giallo i delicati chiaroscuri della prima parte. Mettendo a nudo la mancanza di coraggio, o forse di fantasia, di certo cinema italiano, che fatica a trovare una strada convincente tra ambizioni e necessità, tra mondo poetico e scorciatoie narrative. Mazzacurati ha il coraggio di scegliere ambientazioni e personaggi insoliti, di dirigere gli attori al meglio (il terzetto di protagonisti - Capovilla, Lodovini e Hafiene - è eccellente). Qui non ha trovato la forza per essere coerente fino in fondo.
Paolo Mereghetti (Corriere della Sera)
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