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Mercoledì 03 Luglio 2024
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TUTTA LA VITA DAVANTI
Commedia
di Paolo Virzì
con Sabrina Ferilli, Elio Germano, Valerio Mastandrea, Micaela Ramazzotti
89 minuti - Italia 2008

Magari tanti risvolti sfuggiranno ai più. Magari Paolo Virzì e Francesco Bruni suo compagno fisso di sceneggiature, che dalla culla si sono abbeverati a sorsate ghiotte alla fonte della commedia italiana, si saranno scocciati di sentirselo ripetere. È un fatto che, nel suo esserne attuale e originale rilettura, Tutta la vita davanti è una gerla traboccante di omaggi a quella tradizione. Il sindacalista dei precari di oggi Valerio Mastandrea è l'amaro punto di arrivo del percorso iniziato dall'agitatore protosocialista Mastroianni in "I compagni" di Monicelli: i diritti erano un lusso e reclamarli costava la vita agli albori industriali torinesi, difendere i diritti degli addetti a un mastodontico call center romano è una missione impossibile per la diffidenza e la paura dei lavoratori prima che per la volontà delle aziende di tornare alle mani libere di un secolo fa. Ne fa simbolicamente fede il raffronto tra i due monologhi-chiave nei rispettivi film. Quello affidato a Mastandrea sembra fatto per commuovere solleticando le nostalgie per la sinistra idealizzata e perduta: "Mio padre era verniciatore alla Fiat. Quando c'erano le manifestazioni ci portavano anche me, e mi piaceva un sacco, perché era come una festa: ci andavano tutti e novemila e vedessi come erano belli, forti, allegri, con le tute blu, coi cartelli, gli striscioni. Lì in mezzo anche l'ultimo arrivato si sentiva invincibile: se toccavano uno toccavano tutti". Il controcanto è la sciroccata Sonia (Micaela Ramazzotti, un po' Marilyn un po' Sandrelli), bella e scema di buon cuore, di facili costumi ma di sani principi. Quella che prende la protagonista Marta come baby sitter e la presenta al call center dove lei già lavora. Che si porta a letto il sindacalista Giorgio e subisce poi la ritorsione aziendale per averlo frequentato. Esemplare la sua battuta a proposito dei volantini che Giorgio distribuisce invitando a denunciare gli abusi: "Sei quello che dà i dépliant pubblicitari, però de politica". Sonia, solo più debole ed esposta, è come il boss Massimo Ghini, la sua sottocapa Sabrina Ferilli e come Elio Germano il più "vincente" e poi disperatamente più "perdente" dei venditori dell'inutile prodotto che il call center promuove: vittime del mondo illusorio in cui la produttività e la "motivazione" delle telefoniste e dei venditori si misurano come le nomination e le "esclusioni" del Grande Fratello. Una brillante soluzione di sceneggiatura porta la Marta di Isabella Ragonese - a inizio film neolaureata in filosofia con lode e abbraccio accademico, un minuto dopo giovane disoccupata - a ricomporre tutto, saperi ed esperienze di vita, nel saggio che le farà varcare l'ambita soglia di una prestigiosa università. Dove si formula un'audace chiave di lettura dell'oggi collegando Heidegger e call center, mito della caverna e reality show. Brillante ma troppo consolatoria rispetto a un dramma socio-generazionale che tale resta? Senza scadere nell'ovvietà che un film non fa la rivoluzione, difficile non ricordare l'eterna querelle: nel servire a veicolare argomenti tosti la commedia paga il compromesso di annacquarli. "La Grande Guerra" docet. Tanto per non essere ipocriti: chi scrive si augura che questo film lo vedano in tantissimi, ma senza dimenticare - come, sicuramente, gli autori per primi - di che stiamo parlando.
Paolo D'Agostini (La Repubblica)
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