Commedia di Gianni Zanasi con Giuseppe Battiston, Anita Caprioli, Valerio Mastandrea, Paolo Briguglia 105 minuti - Italia 2007
Stefano Nardini, un malinconico trentacinquenne già passato da Chopin al punk in crisi, decide di tornare alla cuccia di famiglia. Da Roma va dai suoi, trovando un gruppo totalmente smembrato più in panne di lui: a Rimini la fabbrichetta è sull' orlo del disastro, la sorella frequenta solo i delfini al parco acquatico, l' altro fratello sposato con figli si assume il peso del tran tran, il padre è infartuato, la mamma segue tecniche sciamaniche e tutti imbottiti di tranquillanti e-o di illusioni anche per gli agguati della memoria. Persone e personaggi reali trattati con venatura ironica, con leggera ventata fiabesca: tra molti tipi strambi Gianni Zanasi offre con Non pensarci scritto con Michele Pellegrini, un vero, bellissimo ritratto del Paese di oggi, davvero una metafora di una società famiglia che non regge i tempi e ha bisogno di un curatore civile del fallimento morale dell' istituzione. Tutto ciò non viene trattato da tragedia, né il regista fa la predica, ma inserisce ogni terminazione nervosa del racconto in una commedia certo all' italiana ma aggiornata ai tempi, ai pudori, all' etica, alla sensualità diverse. Solo con l' ironia si sopravvive: è il valore aggiunto alla visione apocalittica dei rapporti interpersonali. Ci si diverte molto, non per cinismo, nella drammatizzazione dei contrasti, con una vena di follia posata sulla gente: ogni psicologia è descritta con una leggerezza che non vuol dire superficialità. E al confine ultimo c' è in attesa la vena malinconica del protagonista costretto ad occuparsi di tutti: un eccezionale Valerio Mastandrea, romanticamente in fuga, in cerca di altrove. E i nostri attori sono intonati, bravi e sensibili: la Caprioli, Battiston nevrotico, la Murino, Briguglia, Abbrescia. E per carità niente retorica: si vomita, si rutta, ci si confida sugli autoscontri, si litiga coi delfini, si ama, si bacia e ci si suicida nella consapevolezza forse è sempre lo stesso.
Maurizio Porro (Corriere della Sera)
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