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Mercoledì 03 Luglio 2024
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ONORA IL PADRE E LA MADRE
Drammatico
di Sidney Lumet
con Marisa Tomei, Albert Finney, Ethan Hawke, Philip Seymour Hoffman
117 minuti - USA 2007 - V.M. 14 anni

New York in noir. 'Onora il padre e la madre', di Sidney Lumet, è un thriller newyorchese veloce, ricco di energia, sui guai di un'America che vive indebitandosi Fatto di cronaca attuale, tragedia elisabettiana, melodramma: due fratelli rapinano per soldi la gioielleria dei genitori, provocano per incidente la morte della madre, uccidono per paura alcuni testimoni e/o ricattatori, uno scappa chissà dove, l'altro viene ammazzato dal padre. 'Onora il padre e la madre', 45 film di Sidney Lumet ottantatreenne, è un thriller newyorchese veloce, ricco di energia, di empietà famigliare, dei guai di un'America usa a vivere indebitandosi. Ben fatto, appassionante, e con qualcosa di più rispetto ai grandi e rabbiosi passati film del regista ('La parola ai giurati', 'L' uomo del banco dei pegni', 'Il verdetto'). Lumet, da sempre portato per l'azione e per i drammi famigliari, qui analizza in profondità i personaggi nel loro bisogno di soldi: un fratello con la moglie esigente, amante della droga e della vita ricca, ruba soldi nell'azienda della quale è amministratore e non riesce a risarcire il debito segreto; l'altro, che ha un lavoro più modesto, è divorziato e va a letto con la cognata, non arriva a pagare gli alimenti. A tutti e due non sembra impossibile far soldi rapinando i genitori: l'assicurazione pagherà, nessuno si farà male, tutto verrà risolto. Quando il colpo fallisce, Lumet esamina molto bene le reazioni di ciascuno al disastro: mentre il padre tenacemente indaga per scoprire l'assassino della moglie, un fratello si abbandona all'eroina e al sesso meccanico, l'altro si immerge in sonni comatosi pesanti e torvi come fughe. Altri meriti: gli attori diretti benissimo (Philip Seymour Hoffman e il padre Albert Finley sono perfetti, anche Ethan Hawke è molto bravo); New York vista con la tristezza e lo struggimento amoroso di chi teme di dover lasciare la città più bella e più crudele.
Lietta Tornabuoni (La Stampa)
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