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Mercoledì 03 Luglio 2024
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IL PETROLIERE
Drammatico
di Paul Thomas Anderson
con Ciaran Hinds, Daniel Day-Lewis, Kevin J. O'Connor
158 minuti - USA 2007

La storia di un uomo dal cuore nero come il petrolio: Daniel Plainview, un cercatore d'argento che, all'inizio del 900, trova l'oro nero in California poi ne diventa il magnate, triturando qualsiasi cosa si opponga alla sua irresistibile ascesa. Da molte parti si alzano inni al capolavoro. Il petroliere è superfavorito agli Oscar, con otto nomination tra cui miglior film, migliore regia, migliore interpretazione maschile. Ciò non significa, tuttavia, che si tratti di uno spettacolo "facile", fatto per accalappiare il consenso di tutti. Perché quella di Paul Thomas Anderson è un'opera al nero, in ogni senso: disperatamente nichilista, cupa e grottesca; soprattutto nel finale, che lascia perfino un po' storditi. Ispirato alla prima parte del romanzo "Oil!" di Upton Sinclair e alla biografia di Edward L. Doheny, inizialmente sembra rimandare ai biopic cinematografici sui plutocrati americani: dal gigantesco "Quarto potere" di Orson Welles al meno riuscito "Aviator" di Martin Scorsese. Se Plainview è un misantropo egotista come quelli, però, Anderson focalizza su altri temi: gli aspetti più ripugnanti della "nascita di una nazione", innanzitutto; quindi il conflitto tra potere del denaro e potere religioso; infine il tema della paternità mancata. L'articolazione è complessa. Il primo argomento sottende tutta la narrazione e mai, sullo schermo, s'era vista figura di "padre fondatore" dell'impero americano più torva e tenebrosa; se non, forse, quando Scorsese ha rappresentato la New York degli albori come l'inferno dei barbari (c'era anche Daniel Day-Lewis, si ricorderà, già con i baffoni del petroliere). L'opposizione trapotere economico e potere della religione (e relative collusioni) è proiettata rispettivamente nel protagonista e nel personaggio di Eli Sunday, il giovane integralista cristiano che umilierà Plainview, costretto a inginocchiarsi davanti a lui come dinanzi a un papa medievale, prima di esserne distrutto. Eli c'entra anche col tema della paternità: è il rampollo "traditore" di Daniel, uomo senza donne e senza figli; come lo sarà, in altro modo, il suo figlio adottivo H. W., rimasto sordo durante l'esplosione di un pozzo, scena spettacolare da inscrivere nei memoriali del grande cinema. Il progetto è ambizioso, perfino grandioso; e tuttavia Il petroliere resta un semi-capolavoro, un monumento a metà, che ha il coraggio e la forza di demolire l'epos retorico della "grande nazione", ma poi rimane come impaniato nel grottesco, nello sberleffo amaro, nel ritratto di un antieroe nero dalla psicopatia conclamata. Un certo squilibrio si avverte anche nel registro del linguaggio filmico. Anderson è cineasta capace di raccontare in modo classico, ma lasciando spazio a "smarcature", segni di stile che ne rivelano la personalità non comune (da osservare, una per tutte, il movimento di macchina che penetra nella casa colonica poi ne esce, spaziando sui campi). Confermata, forse più che mai, questa volta. E tuttavia le immagini sono come sdoppiate in due serie diverse, eterogenee: da una parte, le inquadrature maestose alla Terrence Malick; dall'altra quelle "strette", perfino un po' asfittiche, sul volto del protagonista.
Roberto Nepoti (La Repubblica)
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