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LA PROMESSA DELL'ASSASSINO
Drammatico
di David Cronenberg
con Vincent Cassel, Viggo Mortensen, Naomi Watts
100 minuti - Canada, Gran Bretagna 2007 - V.M. 14 anni

Nikolai, così amiamo continuare a pensare, è uno schiavo che sente orrore per ogni schiavitù, e che però si condanna a partecipare all'orrore dei padroni. Sono dense di morte le prime sequenze di La promessa dell'assassino (Eastern Promises, Gran Bretagna, Canada e Usa, 2007, 96'). Il film di David Cronenberg inizia in una quiete carica di tensione, e di colpo un rasoio lacera la gola di un uomo. Subito dopo torna il sangue, e in modo persino più doloroso. Questa volta si tratta di Tatiana (Sarah- Jeanne Labrosse), una ragazzina russa impaurita e sporca che sta per abortire. Portata in ospedale, muore un attimo prima che un medico e la levatrice Anna (Naomi Watts) le tolgano la figlia dal ventre. E la macchina da presa subito si sposta su quel piccolo corpo, la cui esistenza comincia nella stessa materia intrisa d'umori nella quale muore la madre. Questo è Cronenberg. Questa è la sua poetica della carne violata e dilaniata in un mondo cupo di violenza e di vittime, da Il demone sotto la pelle (1975) a La mosca (1986), e ancora da Inseparabili (1988) a eXistenz (1999). Poi, già con Spider (2002), ma soprattutto con History of Violence (2005), il regista canadese ha cercato e trovato una narrazione più ampia, più distaccata dalla materialità immediata. Così è La promessa dell'assassino: una storia di corpi che infieriscono su corpi, o che ne sono tormentati, ma che è narrata con uno stile che vien da dire classico, capace di distanziarsi dai fatti e dai personaggi fino a raccoglierli in uno sguardo colmo d'orrore e pietà. «Gli schiavi partoriscono schiavi», dice Nikolai (Viggo Mortensen) ad Anna. Nikolai è un assassino, e prima ancora è egli stesso servo e schiavo d'un gruppo di mafiosi che dalla Russia si sono trasferiti in Inghilterra. Eppure, per quanto la sceneggiatura di Steven Knight ce lo presenti come spietato e violento, queste sue parole aprono in lui una profondità inaspettata. In ogni caso, la Londra buia e gelida di La promessa dell'assassino è abitata da padroni e da schiavi. Anzi, uno solo è davvero padrone: Semyon (Armin Mueller-Stahl), che tutto decide nel gruppo mafioso, e che è il padre tiranno di Kirill (Vincent Cassel). Proprio a Semyon si rivolge Anna, alla ricerca dei parenti lontani di Christine (questo è il nome che ha dato alla piccola orfana, dopo averla presa con tenerezza fra le braccia). Sapremo presto che il vecchio mafioso ha violentato Tatiana. Dunque, pare non ci sia scampo per Anna, e neppure per Christine, in balia di un "padre" mostruoso. Questo è il nucleo narrativo del film di Cronenberg, appunto. E tuttavia in esso più dell'intreccio contano le atmosfere, le ombre, le paure,le gelosie,l'eterosessualità esibita, e ancora più l'omosessualità nascosta e sentita come colpa. Semyon sta sempre al centro del suo regno, nella sala da pranzo o nella cucina del suo ristorante, colmo di divani e velluti, con i tavoli zeppi di piatti, bicchieri e posate che sembrano usciti dall'immaginario di un romanzo russo. E infatti il capomafia spietato è una sorta di Taras Bul'ba passato dalle rive del Dnepr a quelle del Tamigi, ma privo del vitalismo generoso e irruento del vecchio cosacco creato da Nikolaj Vasil'evic Gogol'. Del tutto succubo a Semyon è Kirill, diviso tra la paura del padre e l'illusione impotente d'essere come lui. Tra i due, tra il padre stupratore e tiranno e il figlio che insieme lo imita e lo odia, c'è poi Nikolai. Ed è proprio attorno a Nikolai che Cronenberg e Knight costruiscono il loro film. Meglio ancora, lo costruiscono attorno al suo corpo sempre controllato, teso come un arco. Lo si direbbe il più spietato fra i criminali russi di Londra. Ma c'è in lui una dimensione tragica che è del tutto assente in Semyon e a maggior ragione in Kirill. Schiavo che perseguita schiavi, alle sue azioni si oppongono pensieri ed emozioni che non riescono a nascondersi dietro un pur fitto velo di realismo cinico. Se il suo padrone s'avvicina in qualche modo a un personaggio di Gogol', Kirill è più simile a un " demone" dostoevskijano. Purtroppo, la storia di La promessa dell'assassino non sa reggere fino in fondo l'ambiguità tragica di Nikolai. È come se Knight, e con lui Cronenberg, a un certo punto sentisse il bisogno di alleggerirne la tensione, elaborandone una spiegazione banale, in termini di trama. Ma a noi in platea sembra possibile –e anche opportuno –non tenerne conto, e stare ben dentro il suo "vecchio" carattere tragico e ambiguo. Nikolai, così amiamo continuare a pensare, è uno schiavo che sente orrore per ogni schiavitù e che però si condanna a partecipare all’orrore dei padroni. In questo senso, alla fine del film sullo sfondo della sua “ombra” acquista ancora più luce la tenerezza coraggiosa con cui Anna decide di salvare Christine, così salvando la propria vita contro ogni esplosione di morte.
Roberto Escobar (Il Sole 24 Ore)
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