Drammatico di Israel Adrián Caetano con Nazareno Casero, Rodrigo De La Serna, Pablo Echarri 102 minuti - Argentina 2006
Ancora un bel film sugli orrori della dittatura militare argentina. Grazie al cinema che ce li ricorda per farceli esecrare, grazie alla Fandango di Domenico Procacci che, ricordandoli con fermezza, mostra di mantenersi fedele a quell'impegno civile da cui si è sempre fatta sostenere. Anche questa volta una storia vera, vissuta e patita da quattro giovani nel '77 rinchiusi e torturati in un centro clandestino di detenzione non lontano da Buenos Aires solo perché sospettati di idee di sinistra. Una storia, dopo una avventurosa fuga che li ha salvati, poi raccontata da uno di loro in un libro alla base del film di oggi, scritto e diretto da un noto regista argentino, Israel Adriàn Caetano, autore già di tre film tutti visti e premiati in vari festival, a cominciare da quello di Cannes. Una cronaca di quattro mesi, in una villa di periferia. Bendati, ammanettati, sottoposti ad ogni sorta di vessazioni per indurre, chi non sopportava torture orribili, ad accusare senza nessun fondamento degli innocenti accusando naturalmente anche sé stessi. Senza ricavarne mai comunque nessuno sconto nelle punizioni quotidiane, evocate e minacciate sempre come un incubo da carcerieri abietti chiusi a qualsiasi sentimento di pietà. Il regista scandisce, anche con delle scritte sovrimpresse sulle immagini, l'enumerazione dei giorni che si trascorrono in quella prigione, badando, anche solo con pochi tratti, a costruirci a tutto tondo le fisionomie dei quattro e, via via, di qualche altro compagno di sventura destinato invece ad andare ad aggiungersi ai quasi trentamila "desaparecidos" di cui quell'infame dittatore fu responsabile. Prima la descrizione di quell'inferno, in climi ovviamente claustrofobici, poi, inaspettate e insperate, le possibilità di quella fuga in una notte di furiosi temporali che costrinse i quattro a fuggire nudi calandosi da una finestra con l'ansia di essere scoperti e, naturalmente, trucidati. Dopo i ritmi della prigionia, quelli, tutti tensione, della ricerca della salvezza, dosati però, come il resto, con un linguaggio senza scosse esteriori per dar rilievo soprattutto a quelle che tormentavano gli animi dei protagonisti. Con immagini fatte sempre scaturire da una macchina da presa in spalla, per far anche più vero, e con colori in equilibrio attento fra il nero e l'ocra, rifiutando, anche nei pochi esterni, le tinte forti. Al centro, tutte facce quotidiane, anche quelle degli aguzzini. Da indicare, tra i reclusi, Rodrigo de la Serna, già visto e premiato ne "I diari della motocicletta". Un vero attore, che sa però proporsi come se preso dalla strada. Gian Luigi Rondi (Il Tempo)
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