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Mercoledì 03 Luglio 2024
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LA STRADA DI LEVI
Documentario
di Davide Ferrario
voce narrante: Umberto Orsini
92 minuti - Italia 2006

Si resta increduli osservando sulla carta geografica il paradossale itinerario che Primo Levi, liberato dal lager polacco di Auschwitz, percorse dal gennaio all' ottobre 1945 per tornare nella sua Torino. Anziché puntare a ovest, il gruppo degli ex-deportati fu avviato a est e pervenuto nel cuore dell' Ucraina s' impennò in un' inutile deviazione a nord descrivendo una specie di cerchio nella Bielorussia. Da lassù scese a sud verso la Moldavia e solo dopo aver sfiorato il mar Nero prese la direzione giusta e attraverso Romania, Ungheria, Slovacchia, Austria e Germania approdò finalmente in Italia. S' impone l' analogia con l' archetipo di tutti i racconti imperniati sul «nostos», il ritorno, ovvero l' «Odissea». Intorno alla quale i commentatori intrecciano da secoli le ipotesi più stravaganti. Come quella per cui il reduce da Troia non avrebbe avuto una gran voglia di tornare a casa. Prevedendo che in patria lo attendevano altre battaglie, Odisseo si concesse una lunga divagazione esistenziale, simile a quella che Levi battezzò La tregua. Un romanzo-verità già rispecchiato nel film di Francesco Rosi (1997), intessuto di episodi memorabili; mentre diverso è l' uso che ne propone Davide Ferrario con Marco Belpoliti in La strada di Levi. Pur dipendendo da un seguito di circostanze, il capriccioso periplo nell' oriente europeo tradisce il bisogno di una fase di decompressione dalla quotidianità dell' orrore. Nel caso di Levi si potrebbe addirittura affermare che la sua «tregua», operosa anche se tutt' altro che serena, si prolungò per oltre quarant' anni, fino a quel salto nella tromba delle scale nell' aprile 1987. Tra i pochi intimi dello scrittore, uno dei più fedeli fu Mario Rigoni Stern che lo accoglieva spesso nel suo romitaggio di Asiago, dove lo ricordo affabile, taciturno e assorto nei suoi pensieri. Quindi Ferrario ha scelto il modo migliore di concludere il suo pellegrinaggio orientale con quattro passi fra le distese erbose e i boschi dell' Altopiano in compagnia del «Sergente nella neve». Mario parla del fraterno amico scomparso con una commozione ben temperata dallo stoicismo, a suggello di un film che sfuggendo al rischio di rigirare il coltello nelle antiche piaghe utilizza in positivo la cronistoria di un viaggio. A conferma che proprio nei grandi libri del passato si trovano indicazioni utili a capire il presente, La strada di Levi viene ripercorsa per constatare i mutamenti intervenuti nel panorama sociopolitico dell' Europa tuttora sommersa. Iniziando il racconto con le immagini spaesate di Ground Zero, il regista suggerisce che tra la caduta del Muro e l' 11 settembre abbiamo vissuto una specie di tregua usciti dalla quale è arrivato il momento di fare i conti con una contemporaneità irta di contraddizioni e pericoli. Avendo l' aria di un diario in presa diretta, il film è molto più elaborato di come sembra: i viaggi sono stati più d' uno, gli incontri risultano gestiti con parsimonia per non scadere nella banalità dell' inchiesta tv e il tono si adegua alle varie occasioni. Intenso è il dialogo con Andrzej Wajda che torna nella fabbrica di Nowa Huta dove si conquistò le sue medaglie «L' uomo di marmo», problematica è l' evocazione del cantante Igor Bilozir ucciso perché cantava in ucraino, quasi da commedia è il confronto con il commissario politico bielorusso, allucinante la sosta a Chernobyl, surreale la rivisitazione dei monumenti sovietici alla quale fa da contrappeso la sorprendente crescita dell' Europa dei TIR. Sulla scorribanda di Ferrario ci si rende conto di quanto poco sappiamo del mondo a suo tempo etichettato d' oltrecortina e quanto sarà lungo l' iter per diventare, di fatto e non solo di nome, cittadini europei. Chi ha ammirato Rigoni qualche settimana fa nell' intervista tv di Fabio Fazio lo rivedrà volentieri tirare le somme di una tremenda esperienza che per lui, tra i pochi alpini usciti vivi dalla ritirata di Russia, si è tradotta nel dovere della testimonianza. Un imperativo morale che Levi ha fraternamente condiviso per poi cedere di colpo all' angoscia di troppe ferite inguaribili.
Tullio Kezich (Il Corriere della Sera)
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