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Mercoledì 03 Luglio 2024
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IN MEMORIA DI ME
Drammatico
di Saverio Costanzo
con Marco Baliani, Filippo Timi, Hristo Jivkov
113 minuti - Italia 2006

Un titolo dal Vangelo. Citato rifacendosi a quelle parole che, ad ogni Messa, tutti i sacerdoti pronunciano dall'altare subito dopo la Consacrazione: in mei memoriam facietis, «in memoria di me». Se ne serve, in questa sua opera seconda, Saverio Costanzo che, per sua fortuna, si ispira quasi solo di riflesso a un mediocre romanzo, uscito qui da noi nei Sessanta, di cui comunque riprende la cornice, una Casa per Novizi della Compagnia di Gesù. Dei Gesuiti, però, non sa molto e tanto meno di quei giovani che, sotto la loro guida, si accingono a scegliere la vita religiosa, così sbaglia, drammaturgicamente, molte cose. Un certo tipo di spiritualità, ad esempio e le stesse pratiche degli studi, arrivando a fraintendere le meditate ragioni di alcune regole, non ultima quella tanto nota della «correzione fraterna», descritta invece come una maldicenza senza carità; ed anche, in mezzo, fondamentale, l'illustrazione delle crisi di certe vocazioni, alcune superate altre no. Queste informazioni non approfondite impediscono a Costanzo, al momento di far prendere al novizio protagonista la decisione di restare, di disegnare con accenti motivati e plausibili quella alternativa spesso turbata tra la fede e la non fede che vuole essere il segno psicologico del personaggio dall'inizio alla fine del suo tormentato itinerario. Un itinerario, tuttavia, che a parte le riserve di verosiglianza (e anche di logica), trova poi comunque nella regia dei valori figurativi e di climi perfino superiori a quelli che avevano tanto convinto in Private, l'ora prima. La cifra è il silenzio, i modi, in ambienti claustrali ripresi a Venezia nella Fondazione Cini in San Giorgio, sono quasi sempre allusivi e indiretti; con poche concessioni a forme esteriori se si eccettua un funerale con candele e tonacelle bianche aperto, in corridoi sempre bui, da un buio «De profundis». L'attenzione è soprattutto sui contrasti dei singoli personaggi, con sé stessi e con gli altri, in primo piano i turbamenti del protagonista che, pur alla fine superati si svolgeranno in parallelo con quelli di un altro novizio che invece non lo risolverà. Con pochi dialoghi (perché, appunto, si privilegia il silenzio) e con immagini che alternano i primi piani dei volti ai campi lunghi degli ambienti con forte impegno visivo. Vi corrisponde una interpretazione di attori non molto noti ma tutti all'altezza dei compiti. Da Christo Jivkov, un protagonista quasi muto nonostante la sue lacerazioni, a André Hennicke, un Padre Rettore segnato come in un'incisione di Rembrandt, custode severo della Regola che è chiamato a insegnare.
Gian Luigi Rondi (Il Tempo)
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