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Mercoledì 03 Luglio 2024
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UNA NOTTE AL MUSEO
Commedia
di Shawn Levy
con Mickey Rooney, Dick Van Dyke, Carla Gugino, Ben Stiller, Robin Williams, Owen Wilson
108 minuti - USA 2006

Arrivato in Italia sulla scia dell' eccezionale successo al box office americano (oltre 200 milioni di dollari), Una notte al Museo obbliga la critica a confrontarsi con uno dei suoi più amletici interrogativi: il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Che, appena un po' aggiornato alla complessità sociologica di questi nostri anni, si può trasformare in: ma gli americani sono solo eterni bambinoni (e tutto quello che producono sono solo bambocciate: corollario) oppure dobbiamo apprezzare la loro capacità di vedere nella realtà il lato favolistico e consolatorio? Al centro del dilemma c' è il sognatore squattrinato Larry Daley (Ben Stiller), padre divorziato in crisi di credibilità verso il figlio Nick (Jake Cherry) che sembra troppo sensibile di fronte all' esempio vincente del nuovo compagno della madre, un promotore finanziario che ha più telefonini che mani e orecchie. In cerca dell' ennesimo lavoro, Larry accetta il posto di guardiano notturno al Museo di Storia naturale di New York, senza sapere che di notte i personaggi in cera e gli animali impagliati prendono vita, a cominciare dal gigantesco scheletro di Tyrannosaurus Rex esposto nell' atrio. E che i tre ex guardiani di notte (Dick Van Dyke, 81 anni, Mickey Rooney, 86 anni, e Bill Cobbs, solo 71) nascondono un segreto. Ne poteva uscire una storia a cavallo tra la paura e la risata, sulla falsariga di quelle commedie anni Cinquanta dove Gianni e Pinotto incontravano Frankenstein o l' Uomo invisibile. E invece, risolto in pochi minuti il «problema» del Tyrannosaurus e quasi dimenticati i rischi del padiglione «mammiferi africani» con i suoi leoni ruggenti, il film diventa una specie di bignami di Storia e Scienze, con il protagonista alle prese con i problemi grandi e piccoli dei vari ospiti. Ci sono gli uomini preistorici alla ricerca del fuoco, Attila e gli unni che vorrebbero squartare ogni nemico capiti loro a tiro (ma solo perché da piccolini sono stati lasciati troppo soli!), i legionari romani che non sopportano i cow boy esposti nella bacheca a fianco, i sudisti che ogni notte si sparano con i nordisti, Teddy Roosevelt (Robin Williams) che vorrebbe parlare alla guida indiana Sacajawea imprigionata dentro un diorama, un erratico Cristoforo Colombo (interpretato da un irriconoscibile Pierfrancesco Favino), il faraone Ahkmenrah, e via sfogliando manuali di storia e di zoologia. Perché questa specie di «presepe» animato (che dovrebbe essere minaccioso e ingovernabile e invece viene facilmente «addomesticato» previa letture varie e navigazioni in internet. Tanto per sottolineare che la cultura oramai è cartacea tanto quanto virtuale), perché tutto questo - dicevo - dovrebbe interessare a un pubblico over 10, cerca di spiegarcelo la presenza del figlio di Larry, venuto a verificare di persona l' impegno notturno del padre. Questa, del rapporto padri e figli, dell' educazione da trasmettere empiricamente con l' esempio, della stima come unico possibile strumento pedagogico è una delle grandi ossessioni della cultura americana. Che ha costruito i propri valori sul mito della conquista, dell' azione, dell' indipendenza, ma non ha saputo affrancarsi dall' obbligo del «buon esempio». E soprattutto non ha saputo farne un tema solo morale ma ha finito sempre per ancorarlo a quell' idea di successo professionale che a parole fingeva di disprezzare. Perché alla fine (e non pensiamo proprio di rovinare la sorpresa agli spettatori) la vittoria di Larry sul disordine delle notti museali e la malvagità degli ex custodi, grazie alla quale riuscirà a far convivere nemici storici e a infrangere le barriere del tempo (Sacajawea era nata intorno al 1790, Roosevelt nel 1858), trova il suo vero suggello nella conferma del proprio posto di lavoro. Infatti, le disavventure notturne finiscono per attirare nuovo pubblico nel Museo di Storia naturale. Trasformando la morale «pedagogica» del film (la stima dei propri figli si conquista affrontando le avversità) nell' ennesima conferma che l' etica protestante del successo è sempre l' unica vera regola di vita made in Usa. E che anche le favole devono adattarsi alle logiche del mercato. Con buona pace di chi si ostina a credere che al di là dell' Atlantico ci siano solo bambinoni mai cresciuti o ingenui sognatori.
Paolo Mereghetti (Il Corriere della Sera)
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