Questo sito si avvale di soli cookie tecnici necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Chiudendo questo banner o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie.
Maggiori informazioni | Chiudi
Mercoledì 03 Luglio 2024
Parrocchia S.Stefano
di Osnago
...una comunità in cammino!
Mappa del Sito Corrispondenza
Home Parrocchia Gruppi Parrocchiali Oratorio Scuola Materna Cine-Teatro Link
LA GUERRA DEI FIORI ROSSI
Drammatico
di Zhang Yuan
con Dong Bowen, Chen Manyuan, Ning Yuanyuan
92 minuti - Cina/Italia 2006

Si può dialogare con una pellicola? Sì, stando a ciò che scrive Mario Sesti nel libro In quel film c' è un segreto (Feltrinelli): «I film non sono persone, ma per molti proviamo affetto e gratitudine come se lo fossero». Metto questa frase come epigrafe alla recensione di La guerra dei fiori rossi perché è appunto uno di quei casi in cui attraverso le immagini qualcuno ti parla, sollecita memorie, chiede risposte. Non ho mai ho creduto allo slogan «la Cina è vicina», l' ho sempre considerata un mondo a parte; ma la condizione mortificante del piccolo Fang in un collegio della Pechino anni 50 mi pare di averla vissuta io stesso sotto altro cielo. Motivo di più per apprezzare la costanza dell' impegno di Marco Müller, che in qualità di produttore associato si è confermato il paladino della sinologia ecumenica, utilizzando artisti italiani quali il montatore Jacopo Quadri e il musicista Carlo Crivelli. Appena il piccolo non-attore Dong Bowen mi ha folgorato dallo schermo con i suoi grandi occhi sgranati, non ho potuto fare a meno di dirmi: quel bambino sono io, intruppato in un campeggio di balilla alla vigilia della seconda guerra. Tante le differenze: Fang, proiezione autobiografica dello scrittore dissidente Wang Shuo, ha meno di quattro anni, io ne avevo undici. Il piccolo cinese è schiaffato di forza nell' ambiente dell' asilo perché la famiglia non può occuparsene, mentre io mi sottrassi al calore del nido per volare volontario verso l' avventura; e più dura fu la caduta in quanto Fang non ha mai nutrito illusioni del genere. I graduati che ci vessavano nel tentativo di formare un' infanzia militarizzata erano solo stupidamente sadici, mentre le maestre cinesi sanno essere trepide e affettuose. E, infine, ciò che veniva instillato dentro le nostre teste era un' ideologia guerrafondaia e retorica mentre nell' asilo pechinese si cerca di ficcare nelle teste dei bimbi la disciplina e le buone maniere. Però i fischietti, l' accento perentorio degli ordini, i comportamenti imposti sono gli stessi: l' igiene personale, l' orario della cacca, l' obbligo di alzare la mano prima di parlare. E uguali le pubbliche umiliazioni per chi fa la pipì a letto, non impara a spogliarsi e vestirsi da solo, fa dispetti ai compagni e risponde ai superiori. Non a caso la scolaresca a passeggio incrocia un drappello di militari che sembrano dei robot, non a caso l' edificio scolastico è contiguo a un ospedale che si configura come un rifugio. Nel mio campeggio per i meritevoli c' era l' albo d' onore, qui ci sono i fiori rossi: ma il primo fiore, quello assegnato d' ufficio, Fang lo respinge con rabbia per poi rimpiangere di non riuscire ad acchiapparne altri. Riconosco perfettamente la frustrazione di voler essere fra gli eletti e finire invece fra i reprobi, condanna che ti cade addosso per un fatto minimo, un' impuntatura, uno spunto di ribellione; e porta alla scoperta di una vocazione eversiva, per cui Fang inventa che la direttrice è un mostro pronto a mangiare i bambini. Dall' osservanza dell' obbedienza coatta si trascorre alla pratica della disobbedienza, dalla schiera degli omologati saltano fuori i ribelli; e meno male. Nel mettere in scena il suo teorema, Zhang Yuan rivela un dono alla De Sica o alla Comencini di ottenere dai bambini il massimo della naturalezza; ma chi ha fatto un po' di cinema sa quali fatiche comporta la gestione dei minorenni. E qui La guerra dei fiori rossi mi sollecita un altro ricordo, di quando al primo incarico sul set come segretario mi fu affidata una banda di monelli da tenere zitti e buoni. Rimembro ancora ciò che mi fecero passare quei 20 diavoletti e non oso pensare alle fatiche dell' intrepido regista che ne ha dovuti tenere a bada ben 135. Onore al merito; ma onore soprattutto al messaggio che un bel film ci contrabbanda da un Paese dove per grandi e piccini la libertà è ancora di là da venire.
Tullio Kezich (Il Corriere della Sera)
 Versione Stampabile 
 Invia questa pagina 
Area Riservata | Privacy | Regolamentazione
Parrocchia Santo Stefano | Via S.Anna, 1 | 23875 Osnago (LC) | Tel. e Fax 039 58129 | Codice Fiscale 85001710137
Sala Cine-Teatro don G.Sironi Tel. 039 58093 - 349 6628908