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DOCTOR STRANGE NEL MULTIVERSO DELLA FOLLIA
Azione
di Scott Derrickson, Sam Raimi
con Benedict Cumberbatch, Elizabeth Olsen, Chiwetel Ejiofor, Benedict Wong
126 minuti - USA 2022

Ci sono cose che non si possono aggiustare. Ci sono errori a cui non si può porre rimedio. Deve farsene una ragione anche un uomo ossessionato dalla perfezione, che vive ogni crepa come una ferita insanabile. Apriamo la nostra recensione di Doctor Strange nel Multiverso della Follia mettendo subito le cose in chiaro: per il suo grande ritorno alla regia di un cinecomic Sam Raimi si è nutrito di emozioni forti. Forti come i timori di un Doctor Strange che ha paura di sbagliare, di perdere, e così pretende di avere tutto sotto controllo. Forte come il vuoto incolmabile dentro il cuore di Scarlet Witch, una donna ancora alle prese con il lutto e la disperazione di chi ha fame d'amore. Si muove da qui Doctor Strange nel Multiverso della follia. Da due personaggi alle prese con le vertigini dei propri sentimenti. Perché hanno entrambi paura del vuoto. Un altro che aveva fame di cinema è Sam Raimi. Così ha tirato fuori dal cilindro un cinecomic in cui ha fatto una scorpacciata di tante cose a lui care. Il risultato è un cinecomic anarchico, folle come il suo titolo, a tratti squilibrato ma con una personalità strabordante come una creatura tentacolare che non si può proprio domare. Con un colpo di fionda. Inizia così Doctor Strange nel Multiverso della Follia, con Sam Raimi che ci catapulta subito nel vivo dell'azione. Come se fossimo dentro una doppia splash page di un fumetto visionario, dove colori, forme e strane creature riempiono lo schermo. Senza perdere tempo ecco Strange alle prese con due novità improvvise: una nuova creatura e una ragazza con un incredibile potere da proteggere. Entrambe legate a quel Multiverso che non vuole proprio sconvolgere la vita del nostro stregone. Il tutto pochi mesi dopo i fatti di No Way Home. Dopo aver chiesto aiuto a una Wanda instabile come non mai, Strange si avventura nei meandri più oscuri e scomodi degli universi paralleli. Scomodi perché in questo film, più che il Multiverso della Follia, emerge la Follia del Multiverso. Una dimensione multipla destabilizzante per i personaggi e per il pubblico, che potrebbero perdersi facilmente al suo interno. Raimi, guidato dalla sceneggiatura di Michael Waldron (che col tema ha familiarizzato scrivendo la serie tv Loki), costruisce un film bizzarro, complesso ma mai complicato. Perché ogni passaggio viene spiegato dai personaggi che fungono da guida. Per fortuna Raimi non si sofferma più di tanto sugli inevitabili passaggi didascalici, e preferisce raccontare attraverso le immagini e un'azione davvero roboante e ispirata come non mai. Come dimostra una particolare sequenza (secondo noi la migliore del film) dove emerge tutto il suo genio creativo. Un scena che potremmo definire "degna di nota" in tutti i sensi. Il vero asso nella manica è l'uso "emotivo" del multiverso. Non solo un pretesto narrativo per allargare gli orizzonti e le possibilità del Marvel Cinematic Universe, ma un modo per mettere Strange e Scarlet Witch (centralissima nel film) davanti a uno specchio rotto. È solo grazie al riflesso distorto del multiverso che lo stregone e la strega vedono quello che sono attraverso che sarebbero potuti essere o potrebbero diventare. Una consapevolezza dolorosa, che passa dalla rimorso e da una serie di "se" e di "ma" che feriscono come schegge. Trovare se stessi dentro le proprie varianti sembra la vera missione del multiverso. Un modo per lanciarsi non tanto dentro portali ma dentro le coscienze dei personaggi. Succedeva anche in Spider-Man: No Way Home, ma se l'avventura di Peter Parker puntava al cuore, questo mira alla pancia e allo stomaco. Perché Sam Raimi aveva davvero voglia di divertirsi. I Marvel Studios volevano un film di Sam Raimi. Sam Raimi voleva girare un film in pieno stile Marvel. Entrambi hanno avuto quello che volevano. Perché la più grande sfida vinta da questo sequel è quella di essere sia un film coerente con il Marvel Cinematic Universe che un'opera in pieno stile Sam Raimi. Questo perché se il "cosa racconta" è abbastanza in linea con lo stile impostato da Kevin Feige, il "come lo racconta" trasuda personalità da tutti i pori. Il tocco di Raimi si avverte di continuo: nei movimenti di macchina, negli zoom improvvisi, nelle scene action quasi mai banali e soprattutto in una marea di sfumature horror seminate in tutto il film. Parliamo di mutazioni corporee con tanto di movimenti innaturali stile L'esorcista, classici jump scare, incubi visionari e soprattutto (finalmente) tanta brutalità. Con sangue, mutilazioni e morti brusche mostrate senza troppi fronzoli. Il tutto dentro un universo Marvel che al sangue sembra quasi allergico. La sensazione è quella di un Sam Raimi con tanta voglia di distruggere e creare. Da una parte vorrebbe quasi sovvertire la formula Marvel (e in parte ci riesce), dall'altra la celebra con ironia, in modo quasi metacinematografico. Come se volesse dire al pubblico: "Adesso è così che funziona, tocca adeguarsi, cercate di capirmi". In un film che parla di stregoni, streghe, magie e incantesimi, Raimi è diventato un alchimista, alle prese con tanti ingredienti diversi non sempre amalgamati con cura. Perché questo Doctor Strange è spesso squilibrato nel tono (ironia e dramma non convivono sempre al meglio), eccessivo, straripante e godibilmente imperfetto. Un cinecomic anarchico, che da una parte accarezza i fan con un paio di sussulti che faranno urlare qualcuno in sala, e dall'altra li scuote da un lungo torpore regalandoci qualcosa di diverso e familiare allo stesso tempo. Insomma, non tutto funziona alla perfezione come dentro un orologio svizzero, ma quando si sentono i rintocchi di Sam Raimi si gode davvero. Lasciare la propria impronta nell'universo Marvel è possibile. Concepire il cinecomic come una matrioska di generi anche. Possibile non significa facile. Perché di alchimisti come Sam Raimi non ce ne sono tanti. Anche rovistando nel Multiverso.
Giuseppe Grossi (Movieplayer.it)
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