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THE FATHER - NULLA E’ COME SEMBRA
Drammatico
di Florian Zeller
con Anthony Hopkins, Olivia Colman, Imogen Poots, Rufus Sewell, Olivia Williams
97 minuti - Gran Bretagna 2020

Arriva finalmente in Italia uno dei film più belli della stagione e vincitore di due premi Oscar. Il primo dato alla miglior sceneggiatura non originale, essendo il film tratto da una pièce teatrale dello stesso regista Florian Zeller, qui all'esordio nel lungometraggio. Il secondo, davvero sorprendente e vero colpo di scena degli Oscar 2021, ad Anthony Hopkins che a 83 anni diventa il più anziano attore protagonista a vincere l'ambito premio. E a ragione. Perché, come vi spiegheremo bene in questa nostra recensione di The Father (ovviamente evitando accuratamente ogni tipo di spoiler) l'interpretazione di Hopkins è capace di trasformare un già ottimo film in un'opera davvero imperdibile. La trama del film è piuttosto semplice. Anne (Olivia Colman) è pronta a trasferirsi a Parigi con il suo compagno, ma prima di partire vuole essere sicura di trovare una badante in grado di gestire suo padre Anthony. Il padre soffre di demenza senile, è convinto che le badanti gli rubino gli orologi e altri oggetti a lui cari, confonde i ricordi e le persone. Quel che è peggio è che a questa confusione dovuta dalla malattia si alternano brevi momenti di lucidità che rendono ancora più complicato il susseguirsi degli eventi. È un film totalmente incentrato sui due personaggi principali, sul rapporto padre/figlia e, in particolar modo, sull'anziano genitore. È attraverso i dialoghi e il modo in cui si rapportano i due che lo spettatore riuscirà a capire non solo i sentimenti a volte tenuti nascosti, ma anche un trascorso difficile nella loro relazione. È una storia di dolore e di affetti, di amore e di rabbia, in cui le emozioni vengono costantemente trattenute per non doversi mettere a nudo. Fino ad arrivare a un potentissimo e incredibile finale che non può lasciare indifferenti. Un Oscar per la sceneggiatura. Tratto dall'omonima opera teatrale scritta dallo stesso regista Florian Zeller, The Father sembrerebbe, a primo impatto, tradire la sua dimensione intima e, per l'appunto, teatrale. Sembrerebbe essere un film perfetto per ostentare dialoghi e recitazione, concentrandosi unicamente sugli attori e il loro talento. E per certi versi è così. La scrittura del film è distante da quello che potremmo definire un approccio da cinema di finzione. Zeller preferisce costruire dialoghi davvero realistici, lasciando spazio al non detto. Una scelta vincente perché si ha davvero la sensazione di trovarsi di fronte a due persone vere e reali (e il gioco meta-cinematografico sul padre di nome Anthony, uguale a quello dell'attore che lo interpreta e con cui condivide la data di nascita, sembra voler sottolineare questa ricerca di realismo) riuscendo a creare un legame emotivo davvero forte con il proprio pubblico. Ma il vero capolavoro di scrittura sta proprio nell'adattamento del testo teatrale in un'opera cinematografica. Spesso i film tratti da questo genere di storie si dimostrano fedeli alla dimensione del palcoscenico mancando di una precisa visione che possa giustificarne una versione cinematografica. O, per meglio dire, spesso si ha l'impressione di trovarsi di fronte a uno spettacolo teatrale filmato e inserito in una scenografia. Non è il caso di The Father che, invece, con grande maestria, riesce a usare tutta la grammatica cinematografica per dare vita a un film che merita il grande schermo. La decisione azzeccata di abbracciare il punto di vista del padre Anthony, con la sua malattia, trasforma il film in un labirinto a cavallo tra l'incubo e il thriller. Il montaggio e la scenografia stessa raccontano la storia riuscendo nell'incredibile impresa di rendere The Father una visione cinematografica unica. Solo attraverso il cinema si poteva raccontare questa storia in questo modo. Un Oscar al miglior attore protagonista. Che Anthony Hopkins fosse un attore straordinario non è una novità, ma che all'età di 83 anni potesse reggere il peso di questo personaggio fondendosi in una simbiosi tale ha dell'indescrivibile. È davvero difficile riuscire a spiegare a parole quanto Hopkins sia un valore aggiunto ed essenziale alla riuscita del film, come riesca a usare le espressioni facciali, il movimento del corpo, gli occhi stessi, per raccontare le sue certezze e le sue indecisioni, di come quell'esplosivo (emotivamente parlando) momento finale sia da solo uno di quegli apici professionali a cui ogni attore aspirerebbe. Per quanto Hopkins riesca a catalizzare l'attenzione del nostro sguardo ogni volta che è presente in scena, non possiamo però dimenticarci di Olivia Colman, candidata anche lei agli Oscar 2021, in un ruolo a prima vista meno memorabile, ma altrettanto straordinario. Anne diventa presto il personaggio su cui rivolgere i nostri pensieri, spesso da lei taciuti. È un lavoro in cui Olivia Colman procede trattenendosi, per non dichiarare esplicitamente le sue emozioni, ma anche in questo caso basta poco, sempre grazie al corpo, per riuscire a capire tutto ciò che sta provando. I due danno vita a un duetto sensazionale riuscendo nell'incredibile impresa di far dimenticare allo spettatore di star assistendo al lavoro di due attori e non di due persone vere. In questo sta la forza travolgente del film: arrivati ai titoli di coda si ha la sensazione di aver assistito a una perla cinematografica, nonostante i temi affrontati (e il modo in cui vengono messi in scena) potrebbero rendere la visione piuttosto dolorosa a chi ha vissuto sulla propria pelle gli stessi eventi.
Matteo Maino (Movieplayer.it)
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