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STITCHES - UN LEGAME PRIVATO
Drammatico
di Miroslav Terzic
con Snezana Bogdanovic, Jovana Stojiljkovic, Vesna Trivalic, Dragana Varagic, Pavle Cemerikic
97 minuti - Serbia, Slovenia, Croazia, Bosnia-Herzegovina 2019

Scrivere la recensione di Stitches - Un legame privato ci riporta col pensiero al 2019, quando l'esperienza del grande schermo era una cosa che si dava per scontato: è in quel contesto, infatti, che l'opera seconda del regista serbo Miroslav Terzic, già assistente di Emir Kusturica, ha esordito in ambito festivaliero. Per l'esattezza, il film è stato presentato nella sezione Panorama della Berlinale, ricevendo l'Europa Cinemas Label, parte di un'iniziativa che punta a promuovere nelle sale le produzioni europee di qualità. Successivamente si è spostato per le kermesse in giro per il mondo, dalla Corea del Sud all'India passando per la Svizzera (è stato ammesso nel concorso internazionale lungometraggi del Festival di Zurigo, riservato a opere prime, seconde e terze), per poi aspettare il momento opportuno per uscire regolarmente al cinema, con l'Italia a fare da apripista per quanto riguarda i mercati europei. Un bel traguardo per un film piccolo ma potente, il cui impatto emotivo è più efficace nel buio della sala che sullo schermo del computer. Stitches - Un legame privato, come precisato nei titoli di coda, si basa su eventi tristemente reali: in Serbia c'è stato un vero e proprio traffico di neonati, rapiti dagli ospedali, e le didascalie finali spiegano che durante le riprese, circa tre anni fa, nessun caso era ancora stato risolto (queste vicende risalgono per lo più a una trentina di anni fa, prima della guerra). A quelle troppo numerose storie si rifà l'esperienza di Ana (Snezana Bogdanovic), la quale credeva di aver perso il figlio poco dopo il parto, salvo poi scoprire diverse irregolarità nelle sue interazioni con lo staff ospedaliero e passare i successivi vent'anni a indagare sulla possibilità che qualcuno si sia impossessato del bambino. Una ricerca non priva di ostacoli, che mette a dura prova tutto ciò in cui lei crede, e che arriva sui nostri schermi vent'anni dopo che il regista ha sentito parlare per la prima volta di questi rapimenti: Miroslav Terzic è infatti venuto a sapere di questi eventi nel 2001, guarda caso lo stesso anno in cui è diventato padre per la prima volta, una coincidenza che lo ha gradualmente convinto a voler raccontare una delle circa 500 storie di famiglie spezzate che hanno afflitto il suo paese. Mescolando elementi di dramma impegnato e thriller, il film è un trattato sul vuoto: fisico, come negli spazi chiusi con colori che rimandano alla vasta oscurità, e spirituale, espresso principalmente tramite la scelta di non avere accompagnamenti musicali al di fuori dei titoli di coda, un approccio che esemplifica l'assenza di gioia e altre emozioni nella vita di Ana, che da due decenni insegue con fare quasi meccanico una verità forse troppo dolorosa. Il personale diventa universale quando lei esprime la propria rabbia all'aperto, come se urlasse a nome di un'intera nazione affranta. Il suo volto, segnato da vent'anni di soprusi indiretti, simboleggia la sofferenza di ogni famiglia che ha subito il più grande dei torti, e anche se parliamo di eventi di qualche decennio fa il tumulto emotivo portato sullo schermo con grande sobrietà da Terzic rimane molto attuale. Il titolo internazionale riflette bene questa cosa: stitches sono i punti di sutura applicati per cicatrizzare le ferite, e sono lì per ricordarci che, anche se non in senso fisico, quelle ferite non si rimargineranno mai del tutto. In compenso, il lungometraggio può servire a lenire la ferita cinefila di chi si appresta a ritrovare la magia della sala dopo mesi di visioni domestiche obbligate.
Max Borg (Movieplayer.it)
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