Drammatico di Bong Joon-ho con Bin Won, Ku Jin, Hye-ja Kim, Je-mun Yun, Jeon Mi-seon 128 minuti - Corea del sud 2009
Nell'arco del suo primo decennio di carriera, il sudcoreano Bong Joon-ho si sarebbe imposto rapidamente come uno dei nuovi, grandi nomi del cinema asiatico, capace di distinguersi anche per la sua versatilità: dopo l'esordio nel 2000 con la commedia nera Barking Dogs Never Bite, nel 2003 aveva conquistato gli elogi della critica con Memorie di un assassino, rigorosa ricostruzione di una logorante indagine poliziesca, seguito nel 2006 dal monster movie The Host, accolto da incassi record in patria. In questa recensione di Madre ci occupiamo invece del quarto lungometraggio diretto da Bong, datato 2009 ma distribuito per la prima volta nei cinema italiani dodici anni dopo la sua realizzazione: un ritorno del regista nei territori del giallo e, all'epoca, un'inversione di tendenza rispetto al suo film precedente.
Presentato al Festival di Cannes 2009, nella sezione Un certain regard, Madre propone infatti, dopo Memorie di un assassino, un'altra indagine per omicidio, condotta questa volta dal personaggio eponimo. La veterana Kim Hye-ja interpreta una protagonista senza nome, che sbarca il lunario vendendo erbe medicinali e praticando agopuntura senza licenza e si occupa di mantenere il figlio ventisettenne Yoon Do-joon (Won Bin), affetto da un ritardo mentale, che trascorre il suo tempo bighellonando insieme all'amico Jin-tae (Jin Goo) e mostra tendenze aggressive in risposta alle provocazioni. Quando una ragazza del luogo, Moon Ah-jung (Moon Hee-ra), viene ritrovata morta sul tetto di un edificio abbandonato, Do-joon è l'immediato bersaglio delle accuse della polizia; spetterà a sua madre, convinta dell'innocenza del giovane, adoperarsi per investigare sull'omicidio di Ah-jung, nella speranza di individuare il vero colpevole e di scagionare suo figlio.
Se la trama, perlomeno in partenza, segue dunque i codici canonici del murder mystery, nel film si avverte tuttavia l'impronta di Bong Joon-ho, a partire dall'incipit: l'enigmatica scena di Kim Hye-ja che danza a braccia aperte in un campo di grano. Il significato di tale scena, e la sua sommessa tragicità, saranno rivelati solo nel finale, ma nel frattempo Bong lascia emergere altri elementi ricorrenti del suo cinema: dalle pennellate grottesche alla crudezza nel descrivere la violenza, passando per l'osservazione di un contesto sociale caratterizzato da disuguaglianze e malessere. Con un decennio d'anticipo sul capolavoro Parasite, anche Madre ci racconta una Corea in cui l'appartenenza ai ceti più bassi equivale a vivere in una condizione di perenne precarietà, sottolineata nel film dallo squallore diffuso e dagli edifici fatiscenti in cui si muovono la protagonista e gli altri personaggi.
La madre del titolo prende nelle proprie mani le sorti del figlio perché non ritiene che lo Stato possa garantirle un'autentica giustizia: la polizia non sembra troppo preoccupata di approfondire le indagini sull'omicidio di Moon Ah-jung e l'avvocato ingaggiato dalla donna non è disposto a spendersi nella difesa di Yoon Do-joon in assenza di un adeguato compenso. Tuttavia, sarebbe riduttivo considerare Madre unicamente da una prospettiva sociale: con il procedere della narrazione, un rilievo preminente viene assunto infatti dalla dimensione etica della vicenda. Qual è il peso delle responsabilità rispetto ad azioni e scelte che possono influenzare le vite degli altri? E fino a quale limite è disposta a spingersi la protagonista pur di proteggere il figlio? L'emergere della verità e lo sviluppo degli eventi costringeranno la donna - e con lei lo spettatore - a rimettere in discussione il proprio senso morale, con la consapevolezza che non sembra esistere una facile via di scampo dal peso della colpa e della sofferenza.
Stefano Lo Verme (Movieplayer.it) |