Commedia di Giuseppe Bonito con Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Stefano Fresi, Valerio Aprea, Paolo Calabresi 97 minuti - Italia 2020
"I figli ti invecchiano anche perché, quando arrivano al mondo mettono fine, con violenza inaudita, a quella stagione di aperitivi, feste e possibilità che ti sembravano il senso stesso della vita". Con la sfrontatezza e l'intelligenza che lo hanno sempre contraddistinto, Mattia Torre parlava così in apertura del monologo diventato virale dopo l'interpretazione di Valerio Mastandrea sul palco di E poi c'è Cattelan a teatro, e che ha poi ispirato una commedia spietata, surreale e tragicomica sulla solitudine della genitorialità moderna.
Per me che scrivo e non sono madre è stato indispensabile ancorarmi a quelle parole per poter dare vita alla recensione di Figli, il film nato da quel testo teatrale e affidato dallo stesso Mattia alla regia di Giuseppe Bonito, già suo aiuto regista ne La linea verticale.
Torre ci lavorava da tempo e prima che la malattia lo portasse via lo scorso luglio, aveva già pensato a tutto, aveva persino scelto il cast in gran parte composto da vecchi amici: da Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea nei ruoli principali ai compagni di Boris di cui fu geniale co-autore, come Valerio Aprea, Andrea Sartoretti e Paolo Calabresi. Questo sarebbe stato il suo terzo film da regista dopo Boris-Il film e Ogni maledetto Natale, oggi è invece il suo ultimo lascito sfrontato, surreale e tragicomico.
Figli è così diventata la commedia postuma del genio di Mattia Torre e a raccoglierne l'eredità è stato Giuseppe Bonito (Pulce non c'è): a lui Torre ha affidato il compito arduo di portare a termine il progetto quando la malattia ormai glielo impediva. Oggi possiamo affermare che non si sbagliava: Bonito è bravissimo a raccoglierne l'eredità e trasformare in immagini la penna di un autore che, meglio di chiunque altro, è stato capace di rappresentare in maniera spregiudicata gli umori di una generazione di quarantenni alle prese con i disagi di un paese vecchio e arrugginito.
Diviso per capitoletti, ciascuno destinato a ritrarre un lato dell'essere genitori, il film racconta la vita di Sara (Paola Cortellesi) e Nicola (Valerio Mastandrea): sposati, innamorati, con una bambina di 6 anni e una vita felice. Almeno fino all'arrivo del secondo figlio, che ne scombinerà gli equilibri e ne tormenterà le notti, svelando dinamiche familiari disfunzionali ma seppellite dalla routine e scoperchiando insoddisfazioni personali taciute da tempo.
Una storia condita da risvolti tragicomici tra nonni bizzarri, amici sgangherati, pediatre 'guru' e improbabili baby-sitter, una riflessione sulla genitorialità nei tempi caotici del contemporaneo, tra l'istinto di scappare e la voglia di restare.
L'intuizione di Bonito è stata quella di farsi guidare dalla sceneggiatura, con delle scelte tecniche che non ne tradissero la grazia e la sfrontatezza.
Lo fa sin dall'inizio del film, da quando cioè la telecamera piomba nella casa "calorosa e accogliente" dei due protagonisti, catapultando lo spettatore nella loro quotidianità scompigliata e confusa, eppure così reale e ordinaria da permettere a chiunque di identificarsi, anche a chi genitore non lo è.
Perché Figli è anche un film sulle ossessioni, le mode, i tic di questo paese stanco, arrabbiato, affaticato e sul disamore di cui è spesso capace. Ogni scena è una miscela di reale e fumettistiche proiezioni dell'inconscio.
Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea, per la prima volta insieme sul set, fanno il resto: nevrotici, smarriti, normali e costretti a fare i conti con la privazione del sonno, infernali festifici, diaboliche chat di classe, retaggi culturali e aspettative che non lasciano alternative se non scappare. Una fuga metaforicamente rappresentata da quei salti nel vuoto che i due protagonisti spesso compiono lanciandosi a turno dalla finestra per evitare l'ennesima discussione o per fuggire dal pianto assillante del nuovo arrivato, tragicomicamente sostituito dalla Sonata n°8 di Beethoven.
Memorabili alcuni monologhi di ineguagliabile e feroce comicità, come quello in cui Sara si lancia in un j'accuse diventato già cult contro la madre, simbolo di quella generazione che "si è mangiata tutto" e che può permettersi di fare mutui, divertirsi, andare in vacanza e credere nel futuro "perché sarete gli ultimi a poterne godere visto che non morite neanche più". I nonni di Figli sono stravaganti, bizzarri, un "esercito di vecchi" che, per usare una battuta del film, "tengono in scacco l'intera economia nazionale". I personaggi sono ritratti di ironia pungente, i dialoghi incalzanti, senza oscurare una tenerezza di fondo riassunta dall'amore per le piccole cose che tutto pacifica, o dalla resilienza, dalla capacità di "imparare a restare", perché "si può cambiare qualcosa solo se prima l'avrete accettata. Vale per il tuo paese, il tuo partito, la tua famiglia".
Elisabetta Bartucca (Movieplayer.it) |