Drammatico di Sean Baker (II) con Willem Dafoe, Brooklynn Prince, Bria Vinaite, Valeria Cotto, Christopher Rivera 115 minuti - USA 2017
La giovane madre Halley è costretta a vivere con la figlia Moonee nel Magic Castle, un motel che a dispetto del nome è destinato alle persone con problemi economici nella zona di Kissimmee, in Florida. La bambina passa le proprie giornate a giocare con i coetanei residenti nell'edificio, creando occasionalmente scompiglio nelle vite degli altri ospiti del motel e del direttore Bobby. Mentre la situazione di Halley si fa sempre più disperata, con lei costretta a ricorrere alla prostituzione, Moonee non perde mai l'ottimismo e l'entusiasmo, sognando una vita da favola come quelle nei film della Disney, il cui celebre parco divertimenti si trova nell'adiacente città di Orlando...
Nel 2012 Sean Baker ha portato nelle sale e nei festival (in particolare Locarno e Torino) il film Starlet, sulla vita quotidiana di una giovane losangelina che ha fatto proprio il sogno di Hollywood lavorando (anche) come attrice di film hard. Tre anni dopo è toccato a Tangerine, noto soprattutto per essere stato il primo lungometraggio ad essere stato girato interamente con un iPhone, ma anche un ritratto toccante e duro della realtà della comunità transgender nella Città degli Angeli. Storie diverse a livello di ambizione e tono (pur essendoci sempre un alone di speranza dietro la tristezza), ma entrambe su individui o gruppi che vivono ai margini della società. Un argomento che ritorna in The Florida Project, presentato al Festival di Cannes nella Quinzaine des Réalisateurs e scelto per chiudere il Torino Film Festival proprio il giorno in cui in America è stato approvato un piano fiscale che renderà ancora più difficoltosa la vita dei meno fortunati.
Questa volta non siamo in California ma in Florida, per l'esattezza nei pressi di Orlando, città che per i cinefili è sinonimo di divertimento e magia in quanto sede dei parchi a tema della Universal e della Disney (il titolo del film si riferisce al nome provvisorio di ciò che poi divenne il Walt Disney World Resort). Nella stessa zona c'è però anche l'area di Kissimmee, dove molte persone vivono in condizioni precarie (tra queste c'è anche la madre del co-sceneggiatore di The Florida Project, Chris Bergoch). Condizioni che Baker raffigura con uno sguardo lucido e compassionevole, mettendo in evidenza le difficoltà dei protagonisti ma senza ricorrere a prediche di stampo sociale e soprattutto senza rinunciare a quel fondo di ottimismo che caratterizza le sue opere: lo spettatore è invitato a riflettere sulle questioni affrontate sullo schermo, ma lo fa passando anche due ore per lo più piacevoli in compagnia dei carismatici giovanissimi che sono al centro dell'attenzione.
La fotografia solare ma a tratti poco conciliatoria di Alexis Zabe, unita all'uso della pellicola, evoca un'atmosfera d'altri tempi, accostabile in parte al sogno rappresentato dalle principesse disneyane (coerentemente con i personaggi del film, l'unica scena ambientata nel parco è stata girata in loco clandestinamente usando un telefono), ma soprattutto a un'altra istituzione culturale americana: per esplicita ammissione di Baker, il tono di The Florida Project e la caratterizzazione di Moonee (interpretata dalla giovane rivelazione Brooklynn Prince) e dei suoi amici si rifà a Our Gang, serie di cortometraggi prodotti da Hal Roach tra il 1922 e il 1944 (nel 1994 è uscito un adattamento cinematografico, Piccole canaglie, dove recita anche, guarda caso, Donald Trump). Allora erano gli anni delle due guerre mondiali e della Depressione, dell'ascesa di Charles Chaplin come avatar audiovisivo dei non privilegiati, della consacrazione - almeno in America - del cinema come strumento di evasione ideale. Novantacinque anni dopo la stessa funzione si rivela ancora più essenziale, e pur mostrando una parte di mondo dove l'happy end non è garantito il film di Baker ci invita a fuggire insieme a delle giovani menti dall'entusiasmo incontenibile, verso mete in bilico tra il reale e l'onirico, alla ricerca di quella gioia particolare che i migliori lungometraggi ci sanno dare nel conforto di una sala oscura.
Max Borg (Movieplayer.it) |