Avventura di Todd Haynes con Julianne Moore, Oakes Fegley, Millicent Simmonds, Jaden Michael, Cory Michael Smith 120 minuti - USA 2017
La matita su un foglio bianco, la colla che lascia le mani appiccicose quando si sfoglia un quaderno di ritagli di giornale, il mistero di polaroid sbiadite che catturano istanti di vita quotidiana, l'irregolarità di un modello di New York che nasconde più segreti di quanto non si pensi: una storia è fatta di piccoli dettagli che evocano ricordi, emozioni, sensazioni, che, uniti l'uno con l'altro, compongono un viaggio, come il segno di pennarello su una mappa geografica.
Partendo dal romanzo di Brian Selznick (già autore di Hugo Cabret, trasformato in un film da Martin Scorsese) La stanza delle meraviglie, qui al suo esordio come sceneggiatore, con Wonderstruck, passato in concorso al 70esimo Festival di Cannes e nelle sale italiane dal 14 giugno, Todd Haynes torna a giocare con tempo e spazio, alternando la storia di due dodicenni, Rose (Millicent Simmonds) e Ben (Oakes Fegley), vissuti rispettivamente nel 1927 e nel 1977, che apparentemente non hanno nulla in comune, se non un problema di udito e soprattutto una famiglia difficile: la ragazza ha una madre che la ignora e un padre severo, il ragazzo ha appena perso la mamma (Michelle Williams) e non ha mai conosciuto il papà. Per non rimanere confinati in quattro mura isolati dal mondo, entrambi si fanno coraggio e si gettano tra "gli udenti", cercando di ritrovare se stessi e i propri genitori a New York, città delle possibilità per eccellenza, capace di farti sognare e allo stesso tempo di essere crudele.
Alternano bianco e nero e colori, musica classica e brani rock di culto anni '70 (su tutti Space Oddity di David Bowie, usata ossessivamente quasi come un battito cardiaco, che scandisce le emozioni di Ben), Haynes delinea la sua prima favola, cercando di avvicinare il mondo dei giovanissimi a quello degli adulti, rappresentati da una Julianne Moore splendida, che ha il doppio ruolo di madre e nonna, riuscendo a essere comunicativa senza parlare, raccontando un intero universo con un semplice sguardo.
A due anni di distanza da Carol, magnifica storia d'amore ambientata negli anni '50 con protagoniste Cate Blanchett e Rooney Mara, il regista americano torna in concorso a Cannes con un'opera complessivamente forse meno riuscita, ma altrettanto curata dal punto di vista stilistico e ancora una volta emozionante. La storia intrecciata dei piccoli Rose e Ben è un viaggio sensoriale attraverso i demoni dell'adolescenza, in cui i giovani protagonisti esplorano il mondo dovendo scontare il peso di avere un pezzo mancante, i propri genitori, simboleggiato dalla perdita dell'udito. Quando siamo senza radici, senza il supporto di una famiglia e privi della consapevolezza che là fuori esiste qualcuno che, a prescindere da tutto, ci ama e ci sostiene, è come avere un organo o un senso in meno: in questo caso è l'udito, stratagemma attraverso cui Haynes ci proietta in un mondo alternativo, visto con gli occhi di chi vive la realtà filtrandola in modo differente.
Il senso di appartenenza inappagato dei protagonisti è trasmesso con un ammirevole gioco di immagini e montaggio sonoro, in cui la musica sparata a tutto volume e l'assenza di suoni rispecchiano il mondo interiore di Rose e Ben, che alterna ricordi a sogni, passato e presente, in un percorso doloroso e allo stesso tempo necessario per crescere e trovare il proprio posto nell'universo.
Accanto alla sua musa Julianne Moore, sempre più magnetica e brava, in grado di far commuovere senza nemmeno bisogno di parlare, Haynes mette in campo tre giovani talenti, Oakes Fegley, Jaden Michael (visto nel ruolo di Refe nella serie di Netflix The Get Down, che qui interpreta Jamie, ragazzino che aiuta Ben nella ricerca di suo padre) e l'esordiente Millicent Simmonds, attrice sordomuta dotata di giganteschi occhi dall'espressività disarmante. Nel confronto tra vecchie e nuove generazioni, epoche lontane, gli eleganti anni '20 e gli psichedelici '70, La stanza delle meraviglie racconta di come la vita sia formata dai legami che stabiliamo con gli altri, che siano parenti, amici o sconosciuti. Protagonista silenziosa e allo stesso tempo assordante una New York magnifica, che muta aspetto ma non cambia il suo cuore, scrigno di esistenze uniche e difficili, commoventi e bizzarre: quando Ben e Rose trovano le loro radici, è la stessa città a unirli e abbracciarli, a testimonianza di un legame universale e indissolubile, quello che si instaura con chi risuona alla nostra stessa frequenza, senza bisogno di sentire con le orecchie, ma accogliendoci con coraggio nel suo nucleo emotivo più morbido e indifeso, che non ha bisogno di parole per dirci che siamo finalmente a casa.
Valentina Ariete (Movieplayer.it) |