Biografico di Terence Davies con Cynthia Nixon, Jennifer Ehle, Keith Carradine, Catherine Bailey, Jodhi May 126 minuti - Gran Bretagna, Belgio, USA 2016
Tornata a casa dopo un tentativo fallito di educazione religiosa, la giovane Emily Dickinson si fa presto notare in società non solo per le sue poesie, pubblicate - inizialmente senza firma - su un importante giornale, ma anche per le sue opinioni molto forti sulla moralità e sullo status della donna. Queste posizioni le creeranno, nel corso degli anni, molti problemi sia fuori casa che dentro, facendola entrare in conflitto anche con il fratello, la sorella e il padre.
Malgrado la trasferta oltreoceano, A Quiet Passion è un progetto perfettamente nelle corde del cineasta inglese Terence Davies, noto per la sua mise en scène elegante, teatrale, in parte anche apparentemente "fredda". Tre elementi compatibili con questo biopic dedicato ad Emily Dickinson, un nome fondamentale nella storia della letteratura americana finora alquanto trascurato al cinema, forse anche per via del scarso successo di operazioni simili come Sylvia, dove Gwyneth Paltrow interpretava Sylvia Plath. In mano a Davies, la vita della Dickinson ha tutta la grazia formale delle produzioni in costume di stampo britannico, che si tratti di cinema (vedi Orgoglio e pregiudizio o Espiazione, o anche il più recente Turner) o televisione (di cui un esempio attuale è War and Peace, l'adattamento kolossal del romanzo di Lev Tolstoj), con alcune sequenze che rasentano il sublime, in particolare l'uso delle fotografie per illustrare il passaggio del tempo. Per quanto concerne la presunta "freddezza" dell'autore, essa è del tutto assente in questa sede, grazie ad un ingrediente piuttosto inatteso, visto il soggetto.
Questo ingrediente è la risata, merito di un copione firmato dallo stesso Davies che dà ai dialoghi una vitalità (tragi)comica degna di Jane Austen (un paragone pertinente, vista la cronologia della narrazione). Tematiche non facili come il ruolo della donna nell'Ottocento (anglosassone, ma anche in generale) e l'influenza della fede religiosa sulla vita di tutti i giorni vengono affrontate con battute vivaci ed argute, che danno al linguaggio parzialmente arcaico una qualità molto contemporanea, senza mai sfiorare il ridicolo con l'uso di espressioni vetuste. Quest'anima più leggera - in apparenza - attraversa praticamente tutto il film, anche in molti momenti più solenni (solo la morte viene trattata con assoluta serietà, senza contare l'uso non ironico di scritti della Dickinson come voce narrante). Una scelta senz'altro necessaria ed intelligente, per rendere più appetibile ad un pubblico vasto un progetto tutt'altro che facile da vendere se fosse stato scritto e realizzato con toni più tradizionali.
L'altra vera carta vincente, oltre all'approccio verbale e visivo del regista, è la scelta di Cynthia Nixon per interpretare la protagonista. Ai tempi la vera icona femminista di Sex and the City nei panni di Miranda, oggi l'attrice si fa nuovamente notare con un ruolo altrettanto nevrotico e memorabile, che purtroppo rischia di passare inosservato al di fuori del circuito dei festival. A sostenerla sul fronte femminile c'è un'altra interprete eccelsa, Jennifer Ehle, che presta il volto alla sorella di Emily, mentre il ruolo del patriarca, anch'egli dal sapore squisitamente austeniano, è stato affidato a Keith Carradine, che trasuda simpatia e carisma anche con l'espressione facciale più stoica immaginabile. Questo terzetto di prim'ordine costituisce la componente più umana di un biopic insolito, divertente e straziante, che merita di essere proposto a un pubblico il più vasto possibile.
Max Borg (Movieplayer.it)
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