Azione/Avventura di Joachim Rønning, Espen Sandberg con Johnny Depp, Javier Bardem, Brenton Thwaites, Kaya Scodelario, Kevin McNally 135 minuti - USA 2017
Per il corpo di mille balene, diciamo la verità: il signor Jack Sparrow aveva perso la sua tanto amata bussola. Come dite? Ah, certo, avete ragione: Capitan Jack Sparrow. Il suo oggetto più caro e magico era sparito da qualche parte, forse disperso nella caotica stiva della Perla Nera, piena di barili di rum, mazze di scopa e bauli rigorosamente vuoti. La bussola perduta del nostro Jack non segna il Nord come tutte le altre, ma risponde alle volontà del cuore di chi la impugna, indicando la posizione della cosa o della persona più desiderata dal suo possessore. Ecco, se nella prima trilogia dei Pirati dei Caraibi si capiva che la saga era mossa da un cuore sincero, dal desiderio di narrare gesta piratesche con ironia e piccole dosi di epica, l'ultimo capitolo navigava a vista, alla ricerca di un elisir di lunga vita desiderato da molte saghe cinematografiche. E invece Pirati dei Caraibi: Oltre i confini del mare ha annaspato in cattive acque con una storia dimenticabile, mostrando il lato più "mercenario" che palpita nell'animo dei pirati meno romantici.
Però c'è un cuore che batte ancora. E una bussola pronta a indicare di nuovo la via. La buona notizia arriva assieme alle buone intenzioni di Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar, un quinto capitolo che quasi rinnega ogni legame col suo diretto predecessore per tendere la mano verso quel Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo che dieci anni fa sembrava aver chiuso per sempre il forziere della mitologia piratesca. La nuova e ultima (e chi ci crede?) avventura riprende in mano quell'antica bussola che questa volta punta indietro, alle spalle di Jack Sparrow e ciurma, per intraprendere un viaggio nostalgico alla scoperta di un passato da riscoprire e di genitori da salvare. Non si tratta di un viaggio a gonfie vele verso qualcosa di totalmente inesplorato, ma un percorso a ritroso che scava alla ricerca di un tesoro malinconico.
Una mitica nave inabissata, un figlio pronto ad un tuffo disperato, un padre maledetto. Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar si apre con un prologo dal forte impatto emotivo, con il tema musicale più evocativo e straziante composto da Hans Zimmer che accompagna la discesa negli abissi del piccolo Henry Turner, figlio di Will Turner, che promette al genitore reietto di salvarlo a qualsiasi costo. Una motivazione semplice, simile a quella che muoveva lo stesso Will in Pirati dei Caraibi - La maledizione del forziere fantasma, ma capace di catturare subito i patemi del pubblico più fedele alla saga corsara. Però gli spettatori esperti di maledizioni e forzieri sanno che le trame del franchise sono un fitto groviglio di ricerche, oggetti da raggiungere, rancori e speranze. Nel solco della tradizione si inserisce anche l'ira furibonda di Armando Salazar, temuto cacciatore di pirati rovinato dal intuito beffardo di quella canaglia di Jack Sparrow, e per questo in cerca di doverosa e iraconda vendetta.
Caduto in rovina e vincolato da una maledizione (proprio come Davy Jones prima di lui), l'antagonista di Javier Bardem colpisce soprattutto per un design ispirato, che ci restituisce un uomo perennemente subacqueo ed esploso, impregnato di risentimento e inquietante per il suo modo di esprimersi ed elargire spietati ordini. L'unica ancora di salvezza per l'ex capitano della Perla Nera è il prezioso Tridente di Poseidone, verso cui si lancia assieme ad Henry e all'astronoma Carina. Per quanto i due nuovi, giovani protagonisti cerchino una loro indipendenza e un affiatamento, Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar vincola anche loro a guardarsi indietro. A vivere in funzione dei loro padri. Proprio come hanno fatto Kylo Ren e Rey nel finale di Star Wars: Il risveglio della forza (con padri naturali o putativi) e Star-Lord ne Guardiani della Galassia Vol. 2, anche i due neoarrivati confermano il radicato desiderio disneyano per il legame di sangue, come se per impugnare fermezza i timoni di navi o navicelle spaziali fosse necessario voltarsi indietro una volta per tutte.
Nessuno ha dimenticato la natura ludica della saga, ispirata ad un'attrazione di Disneyland. Rispettoso delle buone, vecchie abitudini il duo registico norvegese composto da Joachim Rønning e Espen Sandberg rimette in scena situazioni folli ed esasperate: furti spettacolari, ciurme mostruose, fughe mirabolanti e portentosi duelli navali. Se tutto questo aleggia la rassicurante senza sensazione del già visto, i sussulti arrivano quando il film riesce ad esplorare la propria mitologia e ad addentrarsi nel passato di Jack Sparrow, ovvero quel personaggio iconico che ha di fatto segnato nel bene e nel male gli ultimi quattordici anni di carriera di Johnny Depp. Un attore da sempre istrionico e trasformista che, però, sembra essersi talmente affezionato ed entrato in mimesi con il suo strambo alter ego da averne declinato il carattere debordante persino in altre sue maschere cinematografiche (qualcuno ha detto The Lone Ranger?). Se Depp ci è apparso ancora a suo agio nei panni arruffati del pirata più guascone dei Caraibi, va detto che l'aver messo in scena sprazzi decisivi della sua gioventù è certamente il più grande pregio di questo quinto atto. Ogni icona è composta da tanti elementi, così il film decide di svelarci i motivi del suo nome, le eroiche fondamenta della sua fama marinara e il valore di ogni singolo oggetto indossato dal buon vecchio Jack. In scia con la vena nostalgica dei blockbuster odierni, anche i pirati, per una volta, ripudiano il piacere della meraviglia e la curiosità del nuovo per rifugiarsi sottocoperta nel calore confortante di un abbraccio passato.
Giuseppe Grossi (Movieplayer.it)
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