Drammatico di Laura Bispuri con Alba Rohrwacher, Flonja Kodheli, Lars Eidinger, Luan Jaha, Bruno Shllaku 90 minuti - Italia, Albania, Svizzera, Albania, Germania, Kosovo 2015
Pellicola coraggiosa quella di Laura Bispuri. Esordire con un soggetto così duro e drammatico in Italia non è cosa da tutti. Niente commedia, un solo nome noto, quello di Alba Rohrwacher, attrice assai poco nazional-popolare. In più la Bispuri sceglie un tema estraneo alla cultura italica. La giovane regista subisce la fascinazione dell'Albania e delle leggi arcaiche (il Kanun) in vigore nelle sue montagne tanto da portare in scena la tradizione delle vergini giurate, giovani donne che, per sottrarsi al rito del matrimonio combinato e ottenere l'indipendenza, fanno voto di castità e iniziano a vestirsi e comportarsi come un uomo.
L'aspetto androgino di Alba Rohrwacher la rende perfetta per il ruolo di Hana, protagonista della storia, in un film ruvido e anticommerciale che ricorda un altro talentuoso esordio, quello dei fratelli De Serio, selezionati nel concorso di Locarno tre anni fa con Sette opere di misericordia. Anche in questo caso è stato un festival internazionale ad accaparrarsi l'opera prima scegliendola come unico rappresentante italiano nel concorso internazionale berlinese.
La corporeità è uno degli ingredienti essenziali di Vergine giurata. Lo capiamo fin dalla sequenza d'apertura in cui vediamo Alba Rohrwacher nei panni di Mark - nome da uomo di Hana dopo il voto di castità - intento a rincorrere una capra insieme ad altri uomini del villaggio. Questo rito collettivo, questo momento di spensieratezza, è qualcosa di raro in un film caratterizzato da un mood cupo e dalla solitudine schiacciante dei personaggi. La Rohrwacher, brava come sempre (anche se forse per una volta ci piacerebbe vederla in un ruolo più lieve e meno borderline), nel film pronuncia poche battute, ma a parlare sono la sua postura, i gesti e i silenzi. La macchina a mano la segue nelle sue peregrinazioni, le sfiora la nuca, le spalle incurvate a nascondere il seno fasciato sotto le camicie abbondanti, le si incolla addosso scegliendo di aderire al suo punto di vista. E il suo punto di vista è quello di una donna forte e fragile, che compie un duplice cammino, dapprima rinunciando alla propria femminilità per ottenere l'emancipazione e il rispetto del padre adottivo e poi recuperandola a poco a poco, dopo aver lasciato l'Albania, in un percorso di riscoperta di sé e di liberazione dal giogo autoimposto dell'identità maschile.
Straordinario il lavoro sulla lingua fatto dalla Rohrwacher che, nel corso di tutto Vergine giurata, parla unicamente albanese nel dialetto delle regioni montuose. Questa componente mimetica della sua performance è essenziale all'interprete per trovare il tono giusto con cui affrontare Mark, rendendo plausibile il suo fingersi uomo. Il senso di pesantezza che avvolgere il personaggio si rispecchia in tutta la pellicola. Nonostante gran parte dell'azione - soprattutto i flashback in Albania in cui vediamo Hana e la sorellastra crescere insieme tra i monti - si svolga in esterni, Vergine giurata è dominato da un senso di oppressione, da una claustrofobia di fondo. Mood che si traduce visivamente in ambientazioni metropolitane periferiche o brulle campagne, nella fotografia plumbea, nell'uso della macchina a mano e nei campi stretti.
Al malessere di Mark si aggiungono l'insoddisfazione della sorella e l'irrequietezza della nipote, che divide il suo tempo tra la scuola, le liti con la madre e il nuoto sincronizzato. Questo sport ha ampio spazio nel film, sia per la sua natura metaforica che ben rappresenta l'odierna condizione femminile sia per la suggestione offerta dall'ambiente della piscina, luogo in cui il corpo sottile e sgraziato di Mark si trova a contatto con i corpi torniti e seminudi delle nuotatrici, dove la vergine giurata si imbatte nella possibilità di una liberazione. Nonostante la scelta di affrontare un argomento così circoscritto nello spazio, Vergine giurata contiene un afflato universale. Con la storia di Hana/Mark, Laura Bispuri racconta un percorso di emancipazione, di scoperta di sé, di conoscenza che passa attraverso la mortificazione. Percorso apparentemente antitetico ai problemi della donna nella società occidentale, ma che in realtà nasconde assonanze ben più profonde di quanto ci si aspetti.
Valentina D'Amico (Movieplayer.it) |