Drammatico/Thriller di Martin Scorsese con Mark Ruffalo, Max von Sydow, Michelle Williams, Leonardo Di Caprio, Ben Kingsley 138 minuti - USA 2009
Due agenti federali con cappotto e cappello a larghe tese in puro stile anni 50. Un'isola spazzata dai venti e circondata da minacciose scogliere che sembra quella di King Kong. Un manicomio criminale sorvegliato da poliziotti armati fino ai denti da cui è misteriosamente scomparsa una pluriomicida. Due psichiatri affettati e sinistri (Ben Kingsley e Max Von Sydow, figurarsi) che accompagnano i federali nelle indagini, non si capisce se per favorirli o depistarli. E tutta una fauna di psicotici, uxoricidi, maniaci, affetti da ogni tipo di turba, che i due federali (Leonardo Di Caprio e Mark Ruffalo) torchiano senza riguardi. Fino a specchiare le loro più segrete ossessioni nella follia di quei poveri dementi "curati" con elettrochoc e lobotomie.
Perché siamo nel 1954, nessuno ancora mette in dubbio il potere assoluto dei medici sui malati. E poiché uno di quei dottori ha l'accento teutonico di Max Von Sydow, l'ex-marine Di Caprio viene sommerso dai ricordi di guerra: lager e cataste di cadaveri, ufficiali nazisti agonizzanti tra le fiamme, una bambina fusa alla madre in un blocco di ghiaccio che si confonde con la figlia dello stesso Di Caprio, morta tragicamente anni prima. Mentre anche l'indagine si fa confusa, i ruoli incerti, quel manicomio e l'isola stessa diventano un labirinto in cui la ragione si smarrisce...
Ci sono storie così piene di cliché che lo spettatore si mette sul chi vive; film così nutriti di cinema che sembra di averli già visti. Eppure ogni volta il regista, specie se è un grande regista come Scorsese, usa quei cliché per rivelarci qualcosa nascondendo al contempo qualcos'altro. Un po' come fanno le immagini-schermo care alla psicoanalisi, ricordi falsi o manipolati dal nostro inconscio per difenderci da verità insopportabili. Fino a instillare un dubbio radicale su quanto vediamo: realtà o allucinazione, complotto o paranoia? Il problema è che Scorsese, seguendo la strada già battuta intensamente dai noir degli anni 40-50, sprofonda nel gioco dei rimandi fino a dedicare ai personaggi e ai loro sentimenti lo stesso trattamento riservato ai classici dello schermo convocati in Shutter Island, facendone in qualche modo personaggi e sentimenti "di secondo grado", citazioni viventi, capaci di suscitare nostalgia più che emozione e sorpresa.
Un vero peccato perché fra tante scene madri, esaltate dalle sapienti scenografie di Dante Ferretti e dalle diussonanze della colonna sonora (Schnittke, Penderecki, Scelsi, Ligeti...), si affaccia un'ossessione della violenza e della sopraffazione che appartiene invece profondamente a Scorsese. Così profondamente che il regista di Taxi Driver, The Departed, Toro scatenato, la ammanta di citazioni per nasconderla e ostentarla insieme. Come si fa con i segreti troppo scottanti. O con le manie coltivate così a lungo da diventare maniera.
Fabio Ferzetti (Il Messaggero)
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