Documentario di Pietro Marcello con Mary Monaco, Vincenzo Motta 76 minuti - Italia 2009
Il festival di Berlino dopo Torino vinto tre mesi fa. Due vetrine di prestigio per i cineasti emergenti. Pietro Marcello, che il popolo cinefilo conosceva per Il passaggio della linea, documentario di spiccata personalità girato su e giù per l' Italia dei treni poveri, ha realizzato con La bocca del lupo un fertile e singolare ibrido. Non del tutto documentario né del tutto finzione. Un insieme che ricorre in abbondanza alla risorsa del repertorio storico e al patrimonio dei filmini amatoriali. Tre protagonisti: due esseri umani e una città, Genova. I due si chiamano Enzo e Mary. Un immigrato siciliano fin da giovanissimo scivolato nella piccola e sempre meno piccola delinquenza, che ha trascorso gran parte della vita in galera. Un travestito (o trans?) già tossico. Si sono conosciuti in prigione e lì si sono giurati un amore eterno e invincibile, hanno stipulato un patto di mutuo soccorso e reciproca solidarietà che nulla può scalfire. Li ha sorretti il sogno semplice di una casetta in campagna dove ritirarsi e volersi bene. Ora hanno superato la mezza età. Il tempo del film è quello del ritorno di lui che ha finalmente scontato la pena, e dell' attesa di lei che lo ha preceduto nel recupero della libertà. Ma ci accompagnano le rispettive voci nella lettura delle lettere che per tanto tempo si sono scambiati, da cella a cella e poi da dentro a fuori. Non vi aspettate facile intrattenimento. Pietro Marcello è una scommessa per il nostro cinema rinnovato di domani. E i suoi strumenti (oggi, domani chissà) non sono quelli della narrazione lineare, della trama descrittiva e tanto meno della spiegazione, ma quelli di un impasto visivo-sonoro evocativo, dell' atmosfera suggeritrice e della suggestione allusiva. La sua cifra è austeramente aristocratica, poetica e fieramente minoritaria: nel produrre una sorta di élitarismo popolare (se si può dire) attinge a Pasolini e De André ma del tutto a modo suo. I suoi Enzo e Mary sono due naufraghi. Reietti ma anche angeli. Il raffinato populismo del film - lezione viscontiana, forse, comunque prezioso per asciuttezza e assenza di sbavature retoriche - è nell' indicare nella loro ruvida tenerezza, nella loro elementare pulizia, il riscatto da un panorama di macerie. La Genova già orgogliosamente industriale, già punto di partenza del riscatto nazionale dei Mille, crocevia di scambi ma anche porto di adii per gli emigranti, degradata e abbandonata nel suo dedalo di vicoli affollati di vecchie esclusioni e nuove marginalità. Le due anime sofferenti e limpide di Enzo e Mary sono la promessa, per nulla grottesca ma autentica, di una ritrovata umanità. Due impresentabili irregolari sono i veri custodi del volersi bene, del bello e del positivo. Il diamante sepolto sotto il letame. Può piacere e convincere, questo film, o anche no. Ma, questo è un fatto, il suo regista possiede sicurezza di sguardo.
Paolo D'Agostini (La Repubblica)
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