Drammatico di Abbas Kiarostami con Juliette Binoche, Agathe Natanson, William Shimell 106 minuti - Italia, Francia 2009
Presentato in questi giorni in concorso a Cannes, il primo film che il maestro del cinema iraniano Abbas Kiarostami ha realizzato fuori dei confini del suo Paese non è facile da raccontare. All' inizio un critico d' arte presenta un suo libro sul rapporto tra opera originale e copia; una donna lo ascolta, per un po' , dalla prima fila. Si tratta di una gallerista francese trasferita in Toscana, dove l' azione del film si svolge, col figlio ragazzino. Più tardi lei accompagna l' affascinante studioso nella cittadina di Lucignano, dove gli mostra un ritratto femminile a lungo ritenuto autentico, ma poi rivelatosi una tarda copia: senza che, perciò, si sia rinunciato ad esporlo come opera a sé. Per inciso, nel luogo si stanno celebrando alcuni matrimoni. I compagni di gita disquisiscono ancora sulla relazione tra l' oggetto artistico originario e quello derivato; poi vanno a prendere un caffè. È qui che Copia conforme svolta, fa un giro a 360° e diventa un altro film. A fornire la chiave è la proprietaria del bar, che scambia i due per marito e moglie: la gallerista sta al gioco, coinvolgendovi anche il professore. Ma è poi un gioco? La copia conforme di una relazione matrimoniale? Oppure i due sono davvero una coppia in crisi? Non è dato saperlo: il che risulta alquanto frustrante. Non che ci si aspettasse la soluzione di un giallo; però le domande poste in modo implicito, potenzialmente stimolanti ancorché cerebrali (proviamo a metterle così: la copia contiene l' originale, allo stesso modo in cui questo contiene la copia? e ancora: dentro il presente ci sono anche passato e futuro?), restano inevase e il tutto prende la direzione di un battibecco di coppia: dove lei si lamenta dell' insensibilità maschile, mortificata perché il presunto marito non ha notato che si è messa rossetto e orecchini; lui fa il burbero e se la prende per la qualità del vino. Chi ha ammirato il cinema precedente di Kirostami non può che restare deluso da questa versione europea del regista, basata su un tipo di "incomunicabilità" tra i sessi che, in altri tempi, Michelangelo Antonioni rappresentò in maniera molto più nitida e conturbante. Tutto resta sospeso, con una visita finale alla camera di una pensioncina dove i due avrebbero soggiornato durante il viaggio di nozze: che lei ha bene impressa nella memoria mentre lui, naturalmente, non la ricorda affatto. In tutto questo gioco di ambiguità irrisolte, capita di apprezzare la bella fotografia di Luca Bigazzi sui paesaggi toscani, o di cogliere l' accuratezza dell' ingegneria sonora, campane in lontananza ecc. Però i lunghi dialoghi finiscono per affaticare con un senso persistente di inconcludenza e di già sentito. Ne fanno le spese anche gli interpreti, che sembrano non capire del film molto più di noi spettatori. Juliette Binoche se la cava col manierismo; mentre William Shimell, carismatico baritono nella vita, sembra annoiato quanto il suo personaggio.
Roberto Nepoti (La Repubblica)
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