Drammatico di Alejandro Amenábar con Rachel Weisz, Ashraf Barhom, Rupert Evans, Michel Lonsdale, Max Minghella 126 minuti - USA, Spagna 2009
Il mondo greco-romano è al tramonto, pagani ce ne sono ancora, ma il Cristianesimo avanza, specie dopo l'editto di Costantino cento anni prima. In mezzo, com'è ovvio, buoni e cattivi, ma Alejandro Amenábar, nel film di oggi, dà spazio solo ai cattivi, anzi ai cattivissimi facendoli capitanare da un vescovo Cirillo da non confondere con quel San Cirillo nato nell'827 dichiarato da Giovanni Paolo II, con San Metodio, "compatrono d'Europa". Questo Cirillo del film è più intollerante di un talebano di oggi, fa massacrare gli Ebrei in massa e, equivocando le Scritture, se la prende anche con le donne, che dovrebbero rimanere "in silenzio". Perché proprio con le donne? Perché la protagonista del film, in quel mondo di uomini, è una donna realmente esistita, Ipazia, nota come astronoma anche se tutti i suoi studi in quel campo sono andati perduti. Però si sa che i cristiani, sulle orme dei furori di Cirillo, finirono per lapidarla al grido (del tutto apocrifo) di "Dio con noi", ripreso evidentemente dal funebre "Gott mit uns" in bella vista sui cinturoni delle SS. Il film segue due strade. Una, quella corale, intenta a descrivere, ricostruendo Alessandria a Malta, la tumultuosa società di quegli anni, con un seguito di stragi al grido "Dio con noi", anche al momento di distruggere, per la seconda volta dopo l'età di Giulio Cesare, la celebre Biblioteca. Un'altra, intenta a dare spazi ai casi privati di Ipazia, ai suoi rapporti con gli studenti cui insegnava astronomia, tutti innamorati di lei ma mai ricambiati, e a quei suoi studi che, ogni notizia essendosene perduta, vengono immaginati in contrasto con le teorie tolemaiche allora in voga per anticiparvi quelle di Copernico e, perché no?, quelle di Galileo. Questa seconda strada la si percorre a fatica, è prolissa, un po' oscura, qua troppo facile per noi che sappiamo, là troppo ostica per le conclusioni cui si vorrebbe giungere. La prima, toni da libello a parte, non si discosta molto dai consueti pseudo colossi storici con movimenti di massa turbinosi. Una singolarità in mezzo, dovuta ai costumi della nostra Gabriella Pescucci: i cristiani più sono neri e cattivissimi più si fanno avanti tutti con cappucci e camicioni grigio ferro. Per cancellare attorno quelli che si vorrebbero indicare come i colori della vita, Nei panni di Ipazia c'è l'inglese Rachel Weisz. Freddina, ma nella versione originale in cui l'ho ascoltata parla con un "Queen's accent" che conquista.
Gian Luigi Rondi (Il Tempo)
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