Thriller di David Fincher con Robert Downey jr, Anthony Edwards, Jake Gyllenhaal, Mark Ruffalo 158 minuti - USA 2007
Non ha un volto svelato, non possiede un'identità certa, non esiste un calcolo preciso delle sue vittime che possono variare da quindici a trenta: ha soltanto il nome d'arte (di massacro) che lui stesso si è dato, Zodiac. È il perfetto eroe malvagio del moderno incubo americano, quello che la realtà presta alla finzione ricordando però che quel serial killer purtroppo le appartiene. Vorrebbe non reclamarlo ma anni di cronaca nera non possono essere cancellati dalla frustrazione di non aver mai domato una belva malata e diabolica, quasi l'incarnazione stessa di Satanasso. E "Zodiac", presentato ieri in concorso, è il thriller che David Fincher (“Seven” costruisce a misura del suo spaventoso protagonista, insistendo su una doppia chiave rappresentativa, il labirinto in cui precipitano le indagini e l'ossessione del cattivo e dei buoni. Caos trionfante contro ordine messo alle strette e beffato. L'assassino spunta la notte del 4 luglio 1969 a Vallejo, uccidendo, in una piazzola di campagna dove l'auto del bersaglio era parcheggiata, una giovane moglie e ferendo gravemente il ragazzo che l'accompagnava. È l'inizio di una lunga strage con un'onda tremebonda che si protrae sino al 1978, data della ventunesima lettera di Zodiac, una delle tante che il maniaco spediva, assieme a un testo cifrato, ai giornali e alla polizia. Nel corso del tempo crolla qualsiasi sicurezza perché il principale sospettato, parzialmente scagionato dai nuovi esami del Dna, muore d'infarto prima di un importante confronto e cadono anche le accuse all'ispettore Toschi indiziato di aver scritto lui alcune missive attribuite al mostro imprendibile. Fincher ha come bussola della narrazione tre lancette che vagano quasi in ogni direzione: l'ispettore del dipartimento di San Francisco David Toschi (Mark Ruffalo), Paul Avery (Robert Downey jr.) giornalista di punta del San Francisco Chronicle e Robert Graysmith (Jake Gyllenhall) disegnatore dello stesso giornale e poi autore di due libri sulle imprese di Zodiac. Un terzetto di caratteri che avranno vite e carriere lacerate dall'ombra di un macellaio ancora più temibile e sfuggente di Jack lo Sventratore. E c'è anche il cinema a imprimere al panorama già delirato un paio di svolte inaspettate: nel suo primo messaggio Zodiac cita il folle conte Zaroff, specialista in battute per far fuori “selvaggina” umana in “Caccia fatale” del papà di “King Kong” Ernst B. Schoedsack; Toschi e Graysmith partecipano da spettatori all'anteprima di “Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo” (Dirty Harry) di Don Siegel che spinge uno psicopatico con fucile al ricatto dell'intera città di San Francisco: il detective non resiste e abbandona la sala, sottolineando come sullo schermo sia tutta un'altra storia, perché il finale è già scritto. Secco e brutale come un esemplare docudrama nelle poche sequenze (le migliori) del killer al lavoro (memorabile per angoscia e tensione l'aggressione con pistola e pugnale a una coppia in un parco), “Zodiac”, pur pagando pegno ad una lunghezza eccessiva (156 minuti) che ne limita la tenuta complessiva, si trasforma in uno sguardo a più rifrazioni concentriche sulla caccia, in un'alternanza di emozioni fredde e calde dove la stilizzazione del paesaggio californiano si muta, a sua volta, nella rappresentazione di una babelica e metaforica ambientazione urbana violata dalla sovraimpressione dei simboli cifrati, quasi come se Zodiac non fosse altro che un'anticipazione del terrorismo e delle sue paure infinite, parallelismo ribadito nel confronto a distanza, per esempio, tra la timida caratura da boy scout intraprendente di Graysmith e la compulsiva eccentricità di Allen, massiccio commesso di negozio e unico presunto Zodiac.
Allo stato di grazia interpretativo di Rufallo, Downey e Gyllenhaal (dal sublime spaesamento), oltre che alla solidità di un cast che può contare sulla presenza di Anthony Edwards, Brian Cox e Chloe Sevigny, David Fincher risponde con la sua sinfonia per un'epica intima e ossessiva che assesta a "Zodiac" la dimensione di una questua intorno al problema del terrore, insondabile nel suo chiuso cerchio di peccato mortale e originale.
Natalino Bruzzone (Il Secolo XIX)
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