Don Emilio Figini
(1912-1939)
Altro sacerdote d’alta statura pastorale. Amato e stimato da tutti. Ancor spesso nominato
per saggezza e competenza, ma soprattutto ancor venerato per la sua generosità
e per il suo altruismo. Sulla bocca di chi ha ormai superato il “mezzo del cammin di
nostra vita”, “ul Figini” sembra evocare una figura di parroco che nei ventisette anni di
permanenza in Osnago ha saputo conquistarsi il
cuore di tutti con grande familiarità.
Personalmente lo ricordo in visita a casa mia
principalmente in occasione di commissioni
ch’egli affidava a mio padre allora dipendente
della libreria arcivescovile di Milano: la ditta
Daverio. Abitavamo allora in Via S. Carlo. Ci raggiungeva
a piedi. Don Figini non usava mezzi di
locomozione. Andava ovunque spostandosi
unicamente con le proprie gambe. Va ricordato
comunque che quasi ogni luogo abitato d’allora
era di facile raggiungibilità. Con una semplice
camminata di qualche minuto, dalla chiesa ci si
portava ai Tubei (verso nord), più oltre c’erano
solo campi. A est il limite era il Cassutun. A sud:
i Fopa, l’asilo infantile e la Villa Spinella; poi si estendevano campi fino alla Cappelletta.
Escluso il cimitero che, per legge, aveva dovuto essere collocato distante dall’abitato.
A ovest, oltre ai Picitt, c’era solo la Villa Galimberti e la grande tessitura. Oltre la ferrovia,
la cascina Dosso Nuovo si trovava a quattro passi. Qualche decina di minuti in più
veniva richiesta per raggiungere le abitazioni del Colombaio e dell’Aurora. Più impegnativo
era il cammino verso le cinque Orane. Il Trecate, che pur si trova in territorio
comunale, appartiene alla parrocchia di Maresso. Le cascine dislocate verso Est: il
Dosso e la Canova non erano poi così distanti dal centro paese. Comunque, don Figini
abituato com’era a intessere rapporti familiari con tutti non si poneva neppure il problema
di eventuali difficoltà nel mettersi in cammino per raggiungere qualsiasi luogo
abitato dai propri parrocchiani. Del resto, anche in occasione delle benedizioni natalizie
(si chiamavano così, allora), al parroco e al suo coadiutore bastavano tre giornate
intere per passare in rassegna tutto il paese. Se dovesse interessare una piantina con
l’indicazione approssimativa dei luoghi abitati nei primi decenni del ‘900, potrebbe
essere formulata come da cartina.
In definitiva ci si conosceva tutti senza la necessità di riunioni particolari. In chiesa ci si
andava tutti. Anzi veniva spesso segnato a dito e sogguardato chi non praticava gli
impegni religiosi. Il parroco conosceva tutti e ciascuno. Sapeva individuare ogni famiglia
anche col nomignolo con cui venivano appellati allora i vari nuclei familiari, le grandi
famiglie patriarcali che poi, col tempo, si smembrarono. Si faceva un preciso impegno
di visitare spesso i malati, i diseredati. Capitava di frequente anche all’asilo. Ci
additava i quadri dei benefattori defunti, appesi alle pareti dell’aula dei grandi, invitandoci
a pregare per loro, in segno di riconoscenza. Ci sorrideva quando con semplici
preghiere ci vedeva partecipare in divisa ai funerali, soprattutto a quelli dei nostri
coetanei. Frequenti, allora. Condivideva con il suo gregge gioie, ansie, e preoccupazioni.
Per chiunque, aveva una parola di conforto, di incoraggiamento, di gratitudine,
anche.
Ma soprattutto condivideva
la miseria in cui versavano
talune famiglie magari numerose.
In particolare portava soccorso
a coloro che vivevano in
condizioni decisamente precarie,
in modo particolare alla
Cappelletta dove, escluse le
famiglie dei Bassano, dei Comi e
dei Casiraghi, quelle che vi
erano sopraggiunte evidenziavano
situazioni di estrema
povertà. E don Figini si privò di
tutti i propri averi per fornir loro
il necessario. Tutta la popolazione
pronunciava convinta un detto significativo: "ul Figini l’è vegnüü a Usnàch
sciuur e l’è mort puerett". "Assoluta verità", testimoniano ancor oggi coloro che
contano qualche decina d’anni più di me. Le virtù del parroco Figini si possono tuttavia
evidenziare anche in altri settori. Innanzitutto godeva di una capacità oratoria straordinaria.
Qualcuno, commentando la fotografia pubblicata di recente su “Le nostre chiese” in
cui egli procede alla benedizione in occasione dell’inaugurazione della casa del
fascio nel 1935, ha espresso questo commento: "E’ lì che sembra parlare con la sua
abituale facondia, con l’entusiasmo e con la comunicativa che gli eran proprie. E, in
quell’occasione, doveva sentirsi veramente coinvolto e appassionatamente consenziente
verso ciò che si stava celebrando. "Che mai?! Col fascismo!?". Col senno di
poi siamo tutti pronti a condannare oggi il fascismo. Ma a quei tempi non era così. Don
Figini condannava aspramente l’operato delle squadracce fasciste, però aveva dovuto
fronteggiare anche qualcosa di spiacevole nei primi anni della sua missione di parroco.
Infatti, se don Carlo Dassi aveva sapientemente proceduto in opere incentivanti la
cooperazione sociale nella comunità, scomparso lui la situazione si era andata progressivamente
deteriorando. Ne fanno buona memoria i più anziani fra noi, anche in
virtù di quanto recepito da chi è scomparso magari da poco. Specialmente a conclusione
della Prima Guerra Mondiale si era manifestata qui tra noi una forte tensione contestataria
senza dubbio inquietante per un parroco.
Gruppi di manifestanti sfilavano davanti alla chiesa inneggianti alla bandiera rossa e,
capovolgendola sopra i gradini dell’ingresso, andavano scandendo a gran voce alcuni
slogans contro la Chiesa e i preti. Erano parole inquietanti che non promettevano
nulla di positivo. Per contrastarli, il parroco aveva organizzato la “Lega bianca” capeggiata
da alcune ragazze ormai adulte che proponevano controsfilate inneggianti a valori
decisamente opposti a quelli dei manifestanti di cui sopra. Intanto serpeggiavano in
paese alcuni movimenti sovversivi che tendevano ad infiltrarsi anche nella benemerita
società del Circolone. Nacque allora l’iniziativa di fondare un “Circolo Bianco” che
ebbe sede in Via S. Carlo.
Era gestito da un Magni (Chinóta) che sempre in Via S. Carlo impiantò anche un proprio
mulino, una rivendita di carbone, acquistò una macchina selezionatrice di sementi...
Insomma fu creata una netta concorrenza con la cooperativa già esistente.
Comunque, per varie cause queste ultime realizzazioni vennero ben presto ridimensionate;
e proseguì invece inalterato il cammino della prima fondazione sociale.
L’arrivo del fascismo con le sue promesse d’ordine, di disciplina, di benessere e di
grandiosità non potè far a meno di entusiasmare tutti quanti, compresi i nostri sacerdoti.
Nessuna meraviglia quindi se don Figini appare come oratore appassionato in una
festa popolare condivisa da tutta la popolazione fra la quale spiccano bandiere e divise
che, al giorno d’oggi, non incontrano più quel medesimo consenso. Dal punto di
vista politico, però, don Figini ben sapeva che il sano ideale socialista dei suoi parrocchiani
non facinorosi poteva ritenersi anche positivo. In proposito, don Ernesto
Casiraghi, parlandomi proprio di questo, mi rassicurò: "Alcuni erano socialisti, ma
guai a toccargli la chiesa! Avevano cinque appuntamenti con l’Eucaristia: a Natale, a
Pasqua, al Corpus Domini, all’Assunta e ai morti. Più fedeli di così!" Nella stessa conversazione,
don Ernesto mi confidò che egli aveva conservato il diapason ch’era
appartenuto al parroco Figini.
E qui occorre ricordare che don Emilio era provetto musicista. Seguiva lo svolgersi di
canti utilizzando il diapason e si mostrava oltremodo intollerante a qualsiasi trasgressione
canora. Richiamava apertamente chi faceva cattivo uso della voce, chi non stava
al tempo, chi tendeva a calare. Il coro doveva risultare ben armonico. Altrimenti scalpitava.
Era convinto che la nostra gente fosse particolarmente intonata ed attribuiva
questa prerogativa alla perfetta intonazione del concerto delle nostre campane.
Sapeva anche allestire ineccepibili
concerti corali per l’accompagnamento
delle sacre
funzioni solenni. In oratorio,
usava spesso il palcoscenico
allestendo compagnie teatrali
che sapessero anche proporre
impeccabili esecuzioni corali o
comunque canore. Teneva in
grande considerazione l’oratorio.
A lui competeva la cura della
gioventù femminile. E si mostrò
un po’ contrariato dal fatto che
Osnago avesse realizzato appe-
na un oratorio maschile a cui le ragazze potevano accedere praticamente solo dopo
che i maschi se ne fossero andati. Perciò lanciò l’iniziativa di una realizzazione, a
breve, anche di un oratorio femminile. Acquistò il terreno dirimpetto a quello maschile.
Invitò le ragazze ad autotassarsi ogni domenica e, un po’ con questi fondi, un po’
con i suoi mezzi personali, un po’ con l’aiuto della Provvidenza, prima che si concludessero
gli Anni Venti del Novecento, l’oratorio femminile potè essere realtà concreta.
Alla chiesa di Santo Stefano regalò il bassorilievo dell’Ultima Cena che collocò sotto
l’altare maggiore. Dotò il guardaroba per le celebrazioni liturgiche di un coordinato
completo di paramenti per la messa solenne e per i Vesperi. Diede inizio ad un progetto
per la realizzazione di una nuova chiesa che avrebbe dovuto sorgere dietro al
monumento ai Caduti, nel terreno che la famiglia Spinella aveva messo a disposizione
purchè la realizzazione fosse avvenuta entro il 1960. La 2a Guerra Mondiale e la conseguente
altissima inflazione vanificarono ogni progetto e annullarono ogni speranza in
proposito.
Don Emilio Figini era particolarmente devoto alla Madonnina delle Grazie che si venerava
presso le Orane. Nelle sere del mese di maggio, alternandosi con il coadiutore si
recava lassù a piedi, quasi in pellegrinaggio personale. Teneva per gli oranesi una funzioncina
tutta particolare permeata di canti e di preghiere che avvincevano i cuori e
confortavano gli animi di tutti. Il suo “predichino” era un autentico sermone. La mia
mamma che era delle Orane mi diceva che perfino gli uomini, pur affaticati dall’intenso
lavoro nei campi, tipico del periodo, perfino loro non mancavano mai quand’era
lui a predicare lassù. Per la festa della cappellina, che si svolgeva in ogni prima domenica
di maggio, si mostrava entusiasta nel percorrere processionalmente la strada tutta
parata a festa con sandaline e festoni
colorati.
Dinanzi alla cappellina contemplava
ammirato quella specie di
tempietto che con veli e tappeti
veniva allestito con cura.
Purtroppo,
proprio mentre tornava in parrocchia
con la processione, dopo essere
stato lassù a festeggiare, fu sorpreso
da un tale acquazzone che gli fu presto
causa del suo decesso. Infatti, il
18 maggio la sua vita cessò perchè
aveva contratto un’incurabile broncopolmonite.
Ero piccolo, ma ho ancora
ben impresso il ricordo del suo
funerale. Fu un’autentica apoteosi di
stima e di affetto da parte di tutta la
cittadinanza e di gran parte del Clero
Diocesano, perfino. Si era nel 1939.
Don Figini lasciava alla parrocchia almeno tre associazioni ben organizzate e idonee a
protrarre la propria attività nel tempo, con incisività anche nei confronti del tessuto
sociale. La prima veniva denominata “San Vincenzo” ed era impegnata a recepire le
situazioni di povertà all’interno della comunità per fornire aiuti e assistenza. La seconda
era l’Azione Cattolica, con il compito di polarizzare soprattutto la gioventù nel praticare
con coerenza gli ideali cristiani a beneficio di tutti. La terza, ossia la Confraternita
del Santissimo Sacramento, perseguiva l’incremento della devozione eucaristica e la
pratica del suffragio nei confronti dei fedeli defunti, anche con un contributo in denaro
per la sepoltura. E don Figini si fece carico di incrementare e consolidare queste
associazioni.
- scritto nell'anno 2006 -
Autore del testo
Alfredo Ripamonti