di Molière Compagnia Teatrale 'Artemiko Teatro Lecco'
Il Malato Immaginario non è una commedia, o almeno, non è solo una commedia. Esso nasce dal profondo essere vivo di Molière, vivo vicino alla morte. Non è la melodia fresca e frizzante di un violino ma l’accompagnamento pensoso e continuo di un violoncello, che, in retroscena ci racconta l’intimo essere umano, senza farsi notare. Non ci dobbiamo immettere in fantasie di colori e sfarzi per costruire questa vera farsa, ci dobbiamo invece calare più che mai dentro di noi, qui non si parla più di attori ma di uomini e donne del nostro tempo. La comicità tipica della commedia si trasforma col Malato Immaginario in un’attenta e provocatoria ironia sociale, in uno specchio. Fare teatro oggi portando i testi classici, col loro vero senso scenico, è un rischio ma d’altra parte è l’unico modo per renderli veri, senza dover per forza adeguarsi alla variopinta bugia scenica con la quale vengono spesso proposti. Molière morì quattro ore dopo la messa in scena di questa incredibile opera. E’ il suo cosciente e firmato testamento, è una cosa seria, eppure troviamo la satira, la comicità, l’ironia, la sfrenata ipocrisia ridicola ai suoi occhi come ai nostri, eppure riesce incredibilmente ad accostare anche l’amore, la vita, la morte, l’amicizia, il valore della famiglia, l’affetto per la sua serva che non tratta sempre cortesemente, ma anche nella vita capita ciò. Nel testo, che abbiamo adattato con rispetto e attenzione, si avverte un viaggio armonico tra le parole e i gesti, che va concludendosi in un tira e molla tra ciò che lui era e ciò che capisce che può diventare, ecco la maturazione del personaggio, ecco la maturazione dell’autore. Questo l'aspetto messo in risalto dal quadro del giovane pittore Pierre Bonaretti sul fondo della nostra locandina. Molière sa che sta morendo, e succederà tra le braccia di due suore, lì finisce il Malato Immaginario, che ha questa inevitabile conclusione. La commedia seppur veritiera rimane commedia, rinchiusa nei ricordi e nei sipari, nei silenzi e nella meditazione. E’ viva ma a tratti, come un’opera d’arte esposta a orari alterni. Suonerà sempre il ricordo di Molière in un orchestra d’archi o vertiginosamente dal terrazzo di un organo in una basilica, brilleranno i sorrisi degli attori e nello stesso tempo essi sentiranno vibrare l’emozione precaria nelle gambe, l’emozione di un istante già fuggito. Questo è il teatro di Molière, questo è ciò che volle dal profondo l’attore, commediografo e didatta Jean-Baptiste Poquelin, nella sua ultima espressione, nel vuoto di quella stanza chiusa e maleodorante, in quella sera fredda e scura del 17 febbraio 1673. Noi vogliamo però pensare che dall’alto della sua grande persona, forse in quell’attimo impaurita e senza speranza, lui abbia potuto inoltrare lo sguardo da una finestra e immaginarci, noi, uomini futuri, uomini malati, uomini di spettacolo, godere del suo indiscusso talento, del frutto del suo grande amore per questa emozionante pazzia, il teatro. |