Drammatico di Céline Sciamma con Joséphine Sanz, Gabrielle Sanz, Nina Meurisse, Stéphane Varupenne, Margot Abascal 72 minuti - Francia 2021
Con la recensione di Petite Maman, film che ha debuttato in concorso alla Berlinale (inizialmente tenutasi online per stampa e altri addetti ai lavori, e poi in presenza qualche mese dopo per il pubblico) e poi vinto il premio del pubblico a San Sebastián, prima di arrivare in Italia tramite la Festa del Cinema di Roma (sezione parallela Alice nella Città) e subito dopo in sala, torniamo a interagire con il mondo cinematografico di Céline Sciamma. Un mondo visionario e affascinante, fatto prevalentemente di giovani (anche per progetti di cui lei è solo sceneggiatrice), con uno sguardo delicato che segue le vicende delle protagoniste con abbondanti dosi di empatia. E proprio il fattore gioventù, come spiegato dalla regista, ha influito sulla scelta di Berlino come piattaforma di lancio, dato che lì c'è la possibilità di mostrare il film a spettatori di tutte le età, a differenza di Cannes (dove lei ha presentato i due lungometraggi precedenti) che un vero e proprio pubblico non ce l'ha.
Petite maman è la storia di Nelly (Joséphine Sanz), una bambina di otto anni che si ritrova nella casa d'infanzia della madre Marion in seguito alla morte della nonna. Marion è distrutta, non sa come gestire la situazione, e a un certo punto se ne va, lasciando Nelly sola con il padre. La piccola, mossa da una grande curiosità esce di casa per esplorare il bosco circostante, e a un certo punto si imbatte in una coetanea (Gabrielle Sanz, sorella gemella di Joséphine), che sta costruendo una capanna. Le due diventano subito amiche, e Nelly impara a conoscere la famiglia - madre, padre e nonna - di questa bambina apparsa dal nulla, il cui nome, guarda caso, è Marion. Come si evolverà il rapporto con questa "piccola mamma", che sembra aver trasportato Nelly in un altro tempo, più innocente e spensierato, lontano dalle preoccupazioni odierne?
Céline Sciamma ha esordito dietro la macchina da presa nel 2007 con il lungometraggio Water Lilies, presentato a Cannes in Un Certain Regard e incentrato sui primi turbamenti sessuali di tre ragazze quindicenni durante un'estate parigina. Successivamente ha vinto il Teddy Award, assegnato al miglior film con tematiche queer, alla Berlinale nel 2011 con Tomboy, su una ragazza che si finge maschio per integrarsi meglio in un nuovo quartiere. Già lì era evidente il percorso che lei ha scelto di tracciare, esplorando i concetti di identità (personale, sessuale, di genere) in ottica giovane, anche in progetti di cui non è la regista (vedi La mia vita da zucchina o il più recente Paris, 13th District, scritto insieme a Jacques Audiard). Il suo quinto lungometraggio è forse l'esempio più forte di questa poetica, che si interroga sul rapporto tra genitori e figli mettendoli sullo stesso piano, con la madre magicamente trasformata nella versione infantile di sé stessa, sostituendo al ruolo genitoriale quello dell'amica e confidente.
Dopo l'exploit di Ritratto della Giovane in fiamme, questa è un'operazione più piccola e semplice, fattore esemplificato anche dall'iter produttivo del film: annunciato e girato nel novembre del 2020, era disponibile per gli accreditati virtuali della Berlinale nella prima settimana di marzo 2021. Ma semplicità non significa sciatteria, e dietro la disarmante linearità della scrittura c'è una commistione complessa di sentimenti, esplorati con tenera sincerità tramite le toccanti interpretazioni delle due giovanissime protagoniste. Nel rivangare il passato, Sciamma rimane fermamente ancorata nel suo atemporale presente, e con questo racconto di duplice infanzia firma la sua opera più matura, con 73 minuti puliti, precisi e incantevoli, intrisi di amore, magia e tanta, tanta umanità. Un piccolo miracolo che è anche un grande inno alla creatività (dietro la macchina da presa) e ai legami interpersonali (sullo schermo), tra le più belle conferme della vitalità della nuova generazione di cinema francese.
Max Borg (Movieplayer.it) |